Viaggio contro il tempo

1

Il «problema» era iniziato al consolato canadese di Beirut, il secondo giorno di settembre del 1975.

L’appuntamento era annotato su un foglietto, stretto nella sua presa. Continuava a tastarlo, istante dopo istante, per timore che volasse via sfuggendogli di mano, o che si sciogliesse nel suo palmo rovente.

Era scritto, nero su bianco. A forza di ripeterlo l’aveva imparato a memoria: «Le undici del mattino»… finalmente l’orologio segnava le undici meno cinque minuti, e «Radwan» si accingeva a fare il primo passo per entrare in una scatola prodigiosa, che rispondeva alla chiamata semplicemente premendo un pulsante… «Eccomi, al tuo servizio!». Non nelle favole, ma nella realtà, nella moderna Beirut che lui non visitava da tempo.

Cercò di ricordare l’anno della sua ultima visita a questa città sempre mutevole, ma la memoria lo ingannava! Era assolutamente certo che quest’invenzione stupefacente fosse ancora sconosciuta: basta premere un pulsante per passare dalla terra a un soffio dal cielo?

Non era un pulsante, ma l’anello di un jinn… non si azzardò a toccarlo, lasciando l’annosa questione al suo compagno di viaggio, «Simaan al-Abras».

Anch’egli, come lui, era venuto al consolato su appuntamento… con dei fogli.

2

«Che Dio ce la mandi buona!» esclamò Radwan istintivamente, trascinando anche il secondo passo, mentre la porta si chiudeva dietro di lui. A quel punto la scatola iniziò a salire, veloce come un razzo: «Che Dio ce la mandi buona!»…

Il suo cuore batteva in modo anomalo. Bisbigliò tra sé e sé: «Cosa ti succede? Nulla ti intimorisce, nemmeno le bestie feroci… perché temi quest’incontro?»

La sua voce interiore si prese gioco di lui: «La paura per l’incontro verrà dopo, ora sei turbato da questo missile…».

Giusto. Le sue ginocchia tremavano. Era un’esperienza nuova: «Oh Signore, liberaci da tutti i mali!». Voltandosi verso Simaan, notò che era calmo, impassibile come una statua.

Si domandò da dove prendesse tale coraggio. Sapeva che era un codardo, che si spaventava per lo svolazzare di una pernice. L’aveva costatato di persona, durante una caccia notturna… in quell’occasione il ragazzo era letteralmente uscito di senno. Da allora Radwan aveva iniziato a far circolare storielle sul suo conto, narrando aneddoti canzonatori quando il gruppo di amici si ritrovava sulle panchine di pietra del villaggio.

Ma ora era davanti a lui: un uomo, della stessa età di suo figlio maggiore, in piedi nella scatola prodigiosa senza battere ciglio, anzi apparentemente a suo agio.

Pensò che alcune persone mostrano il proprio coraggio in cupe foreste, nell’oscurità della notte, durante le tempeste, mentre altre non sperimentano la vita nella natura selvaggia e sono addomesticate dalla città, fino a diventarne figli da allattare. Simaan era uno di questi.

Mentre Radwan si compiaceva per quest’equazione, la porta si spalancò senza preavviso. La voce di Simaan lo sottrasse dalle sue riflessioni:

– Forza, scendiamo qui.

Fu quasi sbalzato fuori, come se la scatola maledetta avesse voluto salutarlo con una pedata.

– È così che ti congedi dai tuoi ospiti, gente di Beirut? Questa domanda rimase soffocata tra le pareti del suo cuore. Simaan proseguì, posizionandosi nella lunga fila e invitandolo a mettersi davanti a lui:

– Aspettiamo il nostro turno.

Le labbra di Radwan si schiusero in tono interrogativo, ma non esitarono ad aderire nuovamente l’una all’altra, secondo quanto aveva deciso:

– Se ne intende più di me di queste cose.

Per ammazzare il tempo prese a osservare gli strani volti che aveva attorno, le nuche allineate. Poco dopo si sentì chiamare, da una voce per certi versi dolce:

– Radwan Abu Yusef!

– Presente, qui. Sì, sono qui! – strillò.

Rispose in modo impulsivo e, senza aspettare alcun cenno di Simaan, uscì dalla fila, dirigendosi in fretta verso un angolo. Lì era seduto colui che l’aveva chiamato, dietro un muro di vetro con una piccola fessura per comunicare con l’esterno.

3

– Lei è il Signor Radwan Abu Yusef?

– Sì, sono Abu Nabil – rispose entusiasta.

La voce lo incalzò, in tono di biasimo:

– Abu Yusef o Abu Nabil?

– Entrambi… Abu Yusef è il mio nome di famiglia, mentre Abu Nabil è il mio cognome. Mio figlio maggiore si chiama Nabil, Dio protegga i nostri figli e …

Si interruppe, dato che non raccolse alcun segnale d’incoraggiamento da parte di quell’uomo, il quale, senza sollevare il capo dai fogli che aveva davanti, lo colse di sorpresa con un’altra domanda:

– È pronto per il colloquio con il console?

– Assolutamente sì. Sono pronto e preparato. – rispose gonfiando il petto.

– Prego, questa porta a sinistra.

– La ringrazio. Che Dio la benedica.

Mentre camminava verso la porta non tralasciò di cercare Simaan con lo sguardo e lo vide tranquillo al proprio posto. Costui accennò un sorriso, esortandolo a proseguire.

– Da solo? – chiese, con gli occhi di un bambino.

– Sì, ti aiuterà la segretaria.

– Sia fatta la volontà di Dio… a Lui ci affidiamo.

Parlava a voce alta, come se la folla che aveva intorno fosse scomparsa, e lui fosse rimasto solo, dinanzi al rompicapo e a una porta sbarrata.

4

La porta si spalancò, facendolo trasalire. I due battenti si erano aperti dall’interno, come sospinti da una mano misteriosa, uno verso destra e l’altro verso sinistra. Spuntò un ragazzo biondo, che lo fissò per un secondo, prima di fargli cenno di entrare.

– Sarà lui il console? – bofonchiò Radwan.

Si pentì di non essersi informato in merito alle sembianze di quest’ultimo, per non incappare in qualche errore grossolano.

Ma la mano del ragazzo insisteva nel suo gesticolare, mentre la bocca emetteva suoni astrusi, che attraversavano i canali uditivi di Radwan senza che riuscisse ad afferrarne il senso.

Lo additò nuovamente, così, malgrado la confusione che lo attanagliava, si decise a farsi avanti a passi pesanti. Una volta dentro, il suo cuore iniziò a battere all’impazzata e al contempo si fece più intenso il suo rimprovero:

– Vergognati! Guardalo, è un essere umano come te, non un leone e nemmeno una iena. E tu non temi nemmeno le bestie feroci e…

Il ragazzo biondo non gli diede modo di continuare il suo flusso di coscienza. Dopo aver afferrato un marchingegno metallico iniziò ad agitarlo attorno alla sua testa, lungo i fianchi, sotto le ascelle, tra i polpacci.

(Cosa sta facendo?)

Sentì che i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime e desiderò ardentemente la presenza di Simaan. Se fosse stato lì con lui gli avrebbe spiegato cosa stava facendo quell’uomo, se era il console o meno, se era sano di mente o pazzo, se questa era la prassi canadese per salutare!! E che razza di paese era quello verso il quale era stato invitato a viaggiare?

L’uomo gli diede le spalle, invitandolo a seguirlo, e lui ubbidì remissivo, pensando: la farsa non è terminata. Le sorprese non sono finite. Signore, aiutaci tu!

Aveva appena pronunciato quella frase quando sulla porta comparve il volto radioso di una ragazza elegante e raffinata, bella come il sole. Le sorrise amabilmente, allungandole la mano in segno di saluto. Lei fece altrettanto e iniziò a parlare in arabo.

– Lei è araba signorina? – le chiese, anche se intendeva: «Figlia mia! Mia salvatrice! Benedizione scesa su di me per liberarmi!».

– Sono la segretaria del console. Parla inglese o francese? – rispose concisa.

– Me la cavo a malapena in arabo.

Trattenne un sorriso e continuò:

– Non si preoccupi. Farò da traduttrice tra Lei e il console, mi segua.

– La ringrazio sin da ora. Lei è una manna dal cielo.

L’eco di quest’ultima espressione giunse fino alle orecchie dello sconosciuto dietro alla scrivania.

Non si alzò all’arrivo di Abu Nabil, nemmeno per stringergli la mano, ma lo invitò a sedersi.

Radwan non si stupì di questo comportamento, dovevano comunicare attraverso il linguaggio dei segni, dato che non conosceva le lingue, non parlava inglese e tanto meno francese, ma aveva un angelo custode al suo fianco. Questa ragazza era discesa dal cielo. Era un angelo, e che angelo!

Traduzione  di N. Rocchetti