M’ràya l-‘ibaràt fi-l-manàm

J. Haddad, Maràya l-‘ibaràt fi-l-manàm, Afàq, al-Qàhira 2009

La copertina di questo libro – in bianco e nero – rappresenta un disegno che, per certi versi, ci ricorda quelli di Escher, e dal quale, a poco a poco, si distaccano delle farfalle notturne. Esse se ne distaccano ma al contempo continuano a far parte del tutto indistinto. Così come le immagini che “vediamo” nel dormiveglia cui ci rimanda il titolo di questa raccolta di ši‘r, poesia.

In prosa poesia Jumana Haddad affronta il tema della morte. La morte attraverso il corpo della donna che si suicida in modi diversi, dodici per l’esattezza, dodici donne che sono quelle che “transitano” nel dormiveglia. Dormiveglia perché la morte è solo uno specchio nel quale si riflette la vita di dodici donne poeta che dialogano in contrappunto con le dodici donne suicide.

E in questo dialogo le donne poeta e le donne (poeta) suicida, tutte di provenienza diversa fra loro, ritrovano un’esperienza che le accomuna.

Un bellissimo testo, questo, che riconferma Jumana Haddad come una delle poeta più interessanti del panorama contemporaneo, anche per l’attenzione in questo caso specifico non solo alla lingua araba ma anche alla grafica del testo che ne è parte integrante. La disposizione delle parole sulla pagina, tutt’altro che casuale, segue il ritmo del poema e il contenuto del testo.

12

Lì dove si separano le ombre.

E dove c’è per il colore del cipresso un gusto più scuro che non assapora se non chi ha provato il sapore del silenzio

Quale orco penetra nella cruna dell’ago?

Ascoltatemi voi che piangete:

Il morto non è morto. In verità non muore. In verità non morirà.

Egli dimentica soltanto, ogni mattina, di aprire gli occhi.

Il morto sta dormendo: cullatelo con le preghiere, con  le parole dolci e con i canti…

Il morto sta dormendo:  cacciate via da lui le ginn della notte triste e i gatti neri…

Il morto sta dormendo: profumatelo, speziatelo con chiodi di garofano, vestitelo del più bell’abito…

Sta dormendo il morto.

(Dietro il suo specchio dorme).

… e si sveglierà fra poco.

(p. 39)

Per ciascuna delle “passanti” su questa terra morte suicide – usando acqua, pallottole, fuoco, elettricità, impiccagione, gas, arma da taglio, e così via – Haddad propone tre spiegazioni (tafasìr): quella religiosa, quella scientifica e quella della poesia. Così, a esempio, la morte di Alfonsina Storni Martignoni, poetessa argentina morta suicida in mare nel 1938, nella “spiegazione”poetica assume il titolo “Titanic”; quella di Amelia Rosselli, nella sezione “morte per elettricità”, assume il titolo “Elettrone”; quella di Silvia Plath, morta suicida con il gas, “Cenerentola”.

Ma “il morto non muore” ricorda incessantemente Haddad lungo le 155 pagine della raccolta:

La morte non è sufficiente

a che io dica sono morta.

Perché muoia davvero,

devo vivere ancora.

Sì, devo vivere di nuovo,

per realizzare la mia morte in me.

Ogni morte non è forse

una vita che si dimentica in uno specchio?

(p. 153)

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