al-Iqlà‘ ‘aks az-zamàn

“All’infuori della distruzione causata dalla guerra, credo che per uno scrittore nulla vada sprecato. Io ho utilizzato le mie sofferenze e quelle della mia gente, il trauma subito dal mio paese, come materiale per le mie storie. Gran parte dei miei scritti ha preso forma durante i bombardamenti. Scrivere è un modo per incanalare i sentimenti. Scrivere permette di confrontarsi con le proprie paure e urlare, in silenzio.”

Con queste parole Emily Nasrallah – Kfeir, 1931 – esprime efficacemente l’urgenza della scrittura, intesa quale “soffio vitale” che permea l’esistenza. Autrice affermata, giornalista, insegnante, attivista per i diritti delle donne, è legata a doppio filo alle vicende che hanno interessato la nazione libanese, da cui non si è mai separata, nemmeno durante le più tragiche manifestazioni di violenza parossistica. Scrittrice prolifica, spaziante entro il genere prosastico, è stata inserita dalla critica nel gruppo delle “Decentriste di Beirut”, movimento letterario anticonvenzionale che incarna uno sguardo squisitamente femminile sulla guerra civile libanese. La sua produzione è caratterizzata da svariati e ricorrenti leitmotiv, tra cui si collocano la rappresentazione dell’anima rurale del Libano, ricca di potenzialità e al contempo di problematiche; le discriminazioni subite dalle donne e le loro battaglie per una maggiore emancipazione; il valore conferito al senso d’appartenenza; la migrazione, esplorata attraverso molteplici prospettive; la necessaria negoziazione con la violenza vissuta nella sua quotidianità.

Un’altra traduzione completa che attende un editore.

Domani i primi quattro capitoli nell’ottima traduzione di Nadia Rocchetti.