Poétique arabe

J. E. Bencheikh, Poétique arabe, précédée de Essai sur un discours critique, Gallimard, Paris 1989

Si potrebbe dire che la tensione fra poesia e prosa percorre tutta la storia della cultura araba dalla nascita e fino ai giorni nostri. Civiltà a cultura orale primaria, quella araba ha, in periodo della giahiliyya, fondato se stessa sul fatto poetico. Il poeta è colui che “soffre”, “sente” qualcosa che gli altri non sentono, perché è in comunicazione con un mondo altro che gli permette di esprimere se stesso e incarnare le aspettative della comunità.

Il poeta si pone dunque come mediatore tra il soprannaturale e il reale e per questo svolge nei tempi più antichi un ruolo centrale nella comunità-tribù. Con la manifestazione dell’Islàm, questo ruolo di mediatore fra il trascendente e l’uomo viene assunto dal Profeta in una sequenza verticale e gerarchica. Se si deve dar credito alle descrizioni che fanno riferimento alla prima rivelazione, l’esperienza mistico profetica di Muhammad presenta tutte le caratteristiche dell’esperienza di indovini-poeti: l’essere in qualche modo “schiacciati” (zahaftu) dalla potenza di Dio (“mi sorprese al-haqq”), il tremore, ecc. Ma è evidente che la Profezia dev’essere distinta dall’evento poetico pagano e che quindi i poeti sono da condannare perché, “dicono ciò che non fanno”.

Questa distinzione dev’essere operata anche a livello formale: non si potrà più parlare di poesia; il testo divulgato dal Profeta in quanto mediatore, anello di congiunzione tra Dio e l’uomo dovrà, anche dal punto di vista formale, possedere caratteristiche uniche. Con la rivelazione coranica la poesia e il poeta cambiano ruolo all’interno della società. La poesia, infatti, verrà in un certo modo “confinata” all’esercizio di corte e a svolgere il ruolo di rappresentante dell’eloquenza degli Arabi. La poesia è nazm, ordine, e come tale sarà deputata a rappresentare l’arabità, quella hikmat al-‘arab di cui l’esercizio poetico è uno degli elementi fondanti.

Numerosi autori confermano questo ruolo svolto dal testo poetico quando affermano che, mentre altri popoli sono maestri, a esempio, nell’architettura, gli Arabi eccellono nel poetare e, soprattutto, non si può poetare in altra lingua.

Il mito della poesia araba, dell’ordine, entrerà così in una tensione feconda con il disordine, la prosa, per poter parlare della quale due erano le condizioni necessarie: la rottura dell’ordine e la codificazione definitiva del canone stilistico della lingua del Corano.