Ibrahim Ferghali e Johnatan Wright

Tempo fa, ho pubblicato un pezzo sulla traduzione dall’arabo (qui) nel quale citavo l’intellettuale egiziano Ibrahim Ferghali (qui) e Giabir al-‘Usfur (qui) e commentavo quanto da loro affermato in ordine alla traduzione dall’arabo nelle lingue europee, affermando che dovremmo tener conto di quello che dicono, indipendentemente dal fatto di essere d’accordo o meno con le loro posizioni. In ogni caso sono pensatori che hanno tutto il diritto di essere considerati come tali.

Le considerazioni di Ferghali e Usfur sono di alcuni anni fa (2012 e 2010 rispettivamente). Improvvisamente, nell’aprile di quest’anno,  Johnatan Wright pubblica un articolo in risposta a quello di Ferghali del 2012 (qui).

Wright non è d’accordo con l’opinione di Ferghali e questo è legittimo. Il punto è che articola questo suo disaccordo in un modo che non riconosce l’autorevolezza dell’altro e il tono dell’articolo è sminuente nei confronti dell’articolazione del pensiero dell’egiziano, anzi afferma che la sua teoria ha del paranoico e del nevrotico.

In tal modo dà ragione a Ferghali, perché anziché discutere il tema posto sul tappeto, anche contestandolo, lo prende come un attacco personale. In un punto del suo articolo, Ferghali cita Taxi, il testo di Khaled Al-Khamisi che, al tempo della sua pubblicazione suscitò in Egitto molte discussioni fra gli scrittori, soprattutto perché scritto in lingua locale e non in arabo standard. A quel tempo, per puro caso, ero proprio al Cairo. Le opinioni erano diverse, ma nessuno mai – perlomeno io non ho mai sentito un commento del genere – è venuto in mente di definire Ferghali e Ashour “arrogant, elitist, cliquish and misguided”.