Abdel Ilahi Salhi e Jalal Elhakmaoui (1)

La modernità della poesia marocchina è molto giovane: è solo da poco più di cinquant’anni, infatti, che i poeti dell’occidente arabo sono riusciti a sottrarsi al peso della tradizione poetica araba. Da sempre tesa fra due poli, la cultura araba medio orientale da un lato e l’Andalusia e la Francia dall’altro, l’espressione poetica marocchina è riuscita a trovare un proprio spazio solo con difficoltà. Proprio per questo, forse, ritroviamo nelle poesie di Salhi e elHakmaoui una duplice tendenza: il retaggio arabo classico, nell’uso della lingua araba stessa, nelle sfumature di significato di cui è ricca la lingua, nell’ironia e nella sferzante modernità, nel modo dissacratorio di leggere la quotidianità, una quotidianità che si vuole universale e nello stesso tempo marocchina a tutto tondo.

Senza pretendere qui di fare una storia della poesia marocchina, vorremmo cercare di segnalare alcune caratteristiche della scrittura che proporremo nei prossimi giorni (Abdel Ilahi Salhi e Jalal al-Hakmauoi) in traduzione. È verso gli anni ’70 che la poesia marocchina comincia a riflettere un nuovo modo di pensare, che cerca di reinventare e cambiare un mondo sempre più violento.

È in questo decennio che la poesia scritta in arabo diventa più visibile, coagulandosi intorno alla rivista al-Qasìda al-giadìda di Muhammad Bannìs (censurata dopo pochi anni), rivista che difende l’autonomia poetica dalla scrittura politica e che incoraggia i nuovi autori a sperimentare.

Fra i poeti di questo periodo possiamo ricordare Ahmad Belbawi, Abd Allah Zurayqa (Zrika), cui si aggiungono, negli anni ’80, Ahmad Barakàt e Wafà’ al-‘Amràni.

Tra le esperienze di questo periodo quella nota come “l’esperimento calligrafico” diretto fra gli altri dallo stesso Bannìs, esperienza nella quale la calligrafia marocchina, generalmente riservata all’utilizzo del makhzen, per scrivere brani del Corano, viene utilizzata come ductus per scrivere poesia sovversiva, attuando così una contaminazione del sacro.

Negli anni ’90 compare una nuova generazione di poeti – una generazione ‘perduta’ – che abbandona la retorica convenzionale e persino il verso libero che tanto libero non era, per lavorare con un linguaggio minimalista, in quella che sarà denominata qasìdat an-nathr, il poema-prosa, facendo ampio uso di una scrittura visuale che utilizza le tecniche del montaggio cinematografico, delle sequenze filmiche, l’inserzione di vocaboli di lingue straniere, riferimenti alla cultura rock.

Questi poeti saranno influenzati dalla beat generation americana: Bukowski, Brautigam, Carver.

(continua…)