Il mare del diluvio

[Traduzione del racconto di Zuhūr Wanīsī, “Baḥr aṭ-ṭūfān” originariamente pubblicato in Aẓ-ẓilāl al-mumtada, Aš-šarika al-waṭaniyya li-n-našr wa-t-tawzī‘, Al-ğazā’ir 1985. L’edizione cui faccio riferimento è quella delle opere complete di Wanīsī, Rūsīkādā wa-l-uḫriyāt, Dār al-hūma, Al-ğazā’ir 2007, vol. I, pp. 361-371.]

Quando la vecchia mise la sua mano sulla spalla della giovane nuora, moglie del figlio assente al di là del mare da anni, fu come se avesse aperto una fontana di sentimenti che defluì improvvisamente sotto forma di lacrime calde. Scrorsero liberamente scorrendo sul volto della giovane sposa, come se si sforzasse di lavare via le preoccupazioni e i dispiaceri che giacevano nel fondo della sua anima tormentata. Le lacrime che sgorgano libere, in ogni caso, possono essere di conforto e avere un effetto terapeutico. C’è una grande differenza tra queste lacrime e quelle che sono versate in segreto e con paura, la paura di gioia o pietà maliziosa. Quanto sono crudeli gli sguardi pietosi provenienti da occhi gelosi persino del suo cibo, di ciò che beve e dei suoi abiti!

– Mio Dio, cosa ti manca? È vero, tuo marito lavora all’estero, ma non si dimentica di te e di spedire a te e a tuo figlio molto denaro, oltre agli abiti più belli. Grazie a questo, hai una bella vita. Non ti manca niente.

– Non mi manca niente… Apparentemente non mancava nulla a Fāṭima – secondo il concetto di bisogno prevalente tra i vicini e i parenti in quel piccolo villaggio di montagna. Anche la suocera spesso era influenzata da quel modo di pensare, che le donne del villaggio, giovani e vecchie, manifestavano di continuo.

– Che bene mi fa avere mio marito al mio fianco giorno e notte se abbiamo a malapena di che mangiare e vestirci? I bambini che abbiamo messo al mondo vogliono cibo quando è l’ora e vestiti tutto l’anno. Che piacere c’è nell’odore dell’arak e nelle espressioni dure con le quali mio marito mi si avvicina la notte? È come se non facesse l’amore, ma la guerra contro i fantasmi della povertà, della miseria e della sofferenza, e contro tutte le circostanze che lo hanno portato a esistere!

La donna che diceva queste parole era l’amica più cara di Fāṭima. Fāṭima spesso si accontentava dei suoic onsigli e … ma col passare dei giorni non riusciva a smettere di pensare che il suo amato marito – figlio del suo caro zio paterno – non volesse ritornare. Una forza irresistibile lo tratteneva là, oltre quel maledetto mare. Diceva a se stessa: “Vedo il mare ogni giorno dire al cielo molte lunghe storie fantastiche, e qualunque cosa dica la gente del villaggio è senza senso, perché proviene da sentimenti personali di simpatia, invidia o pietà.

Molti anni della mia giovinezza sono stati sprecati. Adesso ho ventidue anni. Ho un figlio che chiede costantemente di suo padre, senza risposta. Sono desta o è tutto un sogno? Persino il postino, l’uomo cui siamo grate perché ci porta notizie, si fa vedere raramente. Basterebbe potessi tenere una lettera vicino al cuore e baciarla con le labbra, perché sono una di quelle che non sa leggere né scrivere. Non è raro. Nel villaggio sono tutti come me – uomini e donne – eccetto un giovane, che è incaricato di risolvere i problemi di tutti a questo riguardo. La sua abilità lo ha reso la persona più amata e rispettata del villaggio”.

Fāṭima si asciugò le lacrime, sollevata. La vecchia stava recitando la preghiera del pomeriggio in uno degli angoli dell’ampio cortile. Il sole aveva cominciato ad allontanarsi dall’alto muro del cortile. Quando Fāṭima entrò in casa, sembrò più buio che mai. Si diresse verso un materasso sul pavimento dove dormiva il suo amato bambino. Le sue labbra erano socchiuse e un po’ di saliva gli colava dal mento sul cuscino. Lo guardò con affetto mentre si inginocchiava accanto a lui. Sembrava dormire in pace. E perché no? Cosa poteva capire un bambino di due anni? La cosa importante era che gli piaceva ancora succhiare dal seno della sua giovane madre. Perché avrebbe dovuto svezzarlo? A che pro? Doveva avere un altro bambino? Si sentiva in pace quando lo allattava, ricordava spesso una delle occasioni felici che aveva condiviso con suo marito durante le rare occasioni che avevano passato insieme.

“Mio figlio non è forse il frutto di uno di quei bei momenti? Non è il legame fra me e il mio amato assente? Non prova le stesse cose nonostante la distanza che ci separa, quando mi mmagina mentre allato suo figlio?”

Una settimana prima, la vecchia le aveva detto: “Svezza il bambino. Sta diventando un uomo. Mangia tutto. Non c’è più bisogno di allattarlo”.

Forse la vecchia aveva ragione. Ma…

Il bambino non si svegliò, nonostante i molti baci.

Fāṭima si alzò per guardare alle cose che riempivano la piccola stanza. C’era una panca di pietra con un materasso che in genere restava in ordine perché odiava dormire lì. Preferiva dormire sul pavimento con suo figlio. Quando dormiva sulla panca di pietra, diventava più lucidamente consapevole della lunga assenza di suo marito. C’era anche un baule di legno i cui lati erano decorati con fiori e uccelli in rosso e giallo. Lo puliva ogni giorno, e i colori restavano accessi. Sapeva quanti uccelli c’erano, quanti fiori, e anche il numero delle piccole foglie ramate.

Lo aprì con cura come se toccasse una persona cara cui temeva di far male. Per quanto la riguardava, questo baule conteneva la vita che voleva. Conteneva bei vestiti, che poteva indossare solo per suo marito, perché erano suoi regali. Conteneva spendidi gioielli che le piaceva indossare solo per lui. Conteneva il suo ritratto, lettere e quelle cose intime e preziose che erano solo per loro due. Conteneva il passato, il presente e il futuro. Conteneva la giovinezza, che si vive una volta sola e che quindi va vissuta pienamente. Fāṭima si accucciò un poco con la mano posata in modo gentile su questi oggetti. Poi tirò furoi un vestio grazioso a righe. Lo distese davanti a sé e fece scorrere la mano sopra di esso con tenerezza. Poi lo poggiò sopra di sé mentre stava davanti a uno specchio appeso al muro che rifletteva solo il viso e una parte del busto.

Era davvero una piacevole vista, quella di una donna matura e femminile dalla figura slanciata, il seno pieno, e bei, lunghi capelli che gettavano ombre traslucide sul suo volto ancor più bello. Il suo viso era molto arrossato per via delle lacrime che aveva versato prima così copiosamente e che avevano lavato via molto della sofferenza, lasciandosi dietro uno stato di piacevole rassegnazione. Rassegnazione a qualunque cosa, anche al dolore che sarebbe inevitabilmente tornato con ogni sorgere del sole. Abbandonò le mani lungo il vestito e tirò un sospiro profondo. Eccola lì, non traeva nessuna giogia dal vivere tranne quelle brevi ore tenute all’oscuro dagli occhi della suocera e dei parenti di suo marito, le cui facce erano sempre rannuvolate da cupezza. Poche, brevi ore per le quali ora stava pagando molto. Era già qualcosa essere considerata una donna sposata piuttosto che una delle zitelle del villaggio. Veniva chiamata col nome di un uomo, anche se l’unico suo legame con quest’uomo era la memoria di poche ore di piacere sensuale svuotato di ogni significato, tranne quello che ella, erroneamente, attribuiva loro.

Tu, Fāṭima, sei una donna, e ogni donna è te. Non ci sono differenza fra voi. Siete tutte un contenitore nel quale riversiamo ciò che è in eccedenza rispetto ai nostri bisogni in questa vita. E, Fāṭima, se te ne vai, è pieno di altre Fāṭima. Nessuna di voi ha un vantaggio sull’altra, tranne la quantità della vostra obbedienza e il numero di figli che portate, e quanto sarebbe bello se tutti questi figli fossero maschi…

“Anche l’altra persona, quella che gli impedisce di tornare, una donna, solo una femmina?”

“Sì, è così Fāṭima. Forse i nomi sono diversi, ma la realtà rimane la stessa. Anche lei è solo un contenitore. Sostituisce te là. Può essere poco o molto più bella di te. Ma negli occhi di questo uomo giovane, forte e muscoloso che si chiama tuo marito, è una femmina. Non c’è differenza tra te e lei, solo ella è più vicina e disponibile. Può rispondere al desiderio persistente in tuo marito e nei mariti di altre donne”.

No, sicuramente era diversa. Fāṭima aveva sentito spesso che le donne, là, oltre il mare, non rinunciavano mai a ciò che avevano preso nella loro trappola, e suo marito era una preda preziosa! Il sole africano aveva infiammato la sua anima, il suo corpo, i suoi lineamenti, mentre la terra araba aveva infuso nel suo carattere generosità e coraggio, specialmente di fronte agli stranieri e alle donne straniere in particolare.

La gente del villaggio disse a Fāṭima quanto segue: “Le donne straniere, anche se non credono nella nostra religione e in quella dei nostri antenati possono essere mogli dei nostri uomini musulmani, e i bambini che partoriscono sono considerati musulmani anche se i loro nomi sono come quelli dei non credenti e anche se vanno a messa ogni domenica con le loro madri”.

Le dissero molte cose, tutte enfatizzavano che quel che faceva suo marito all’estero era nei suoi diritti legittimi, concessigli dalla legge canonica dell’Islām, dalla tradizione e dal diritto consuetudinario. Quanto a protestare, non era fra i diritti delle donne, e noi siamo nate donne…

È sufficente, Fāṭima, che guardi oltre il freddo muro in casa tua e obbedisca alle richieste continue di tua suocera. È come se cercasse di compensare per la mancanza di autorità che ha sofferto durante la giovinezza dandoti ordini. È sufficiente che ti prenda cura di questo bambino che porta il nome di tuo marito. Tuo marito, che non è davvero un marito, protesterà quando ritorna e lo troverà uomo. Protesterà ancora più arrabbiato – contro di te – quando si accorgerà che suo figlio non risponde alle sue aspettative, che rifiuta di obbedirgli, e che non lo bacia sulla testa quando lo saluta. È suo figlio, carne e sangue, anche se non sa nulla di lui – com’è cresciuto, la sua natura, i suoi desdieri, i suoi sogni, il suo bisogno di affetto, la sua simpatia. Guai a te, Fāṭima, se pensi di disobbedirgli, e se la tua anima, i tuoi giorni vuoti e la tua giovinezza perduta si lamentano in segno di protesta! In questo caso dovrai dire addio a tuo figlio per sempre. Gli diranno che sei morta e sepolta e che eri una disgrazia che è capitata a lui e all’intera famiglia.

Sì, la gente del villaggio le dice molte cose. Quella era la ragione per cui l’unico sollievo veniva da quelle calde lacrime, che spargeva in agonia. Le lacrime erano il balsamo che applicava agli spasmi della deprivazione totale, anche al diritto di protestare.

Era un giorno nuovo e felice quando Fāṭima sentì che Muḥammad, il figlio del vicino che viveva all’estero con sua moglie, era tornato al villaggio tardi la sera per una breve visita alla sua famiglia. Muḥammad di certo portava buone notizie di suo marito. Ma perché non era venuto anche lui?

“No, Fāṭima, non c’è bisogno di chiedere una cosa simile. Ringrazia solo Dio di ciò che riceverai per tramite di Muḥammad”.

Fāṭima non chiuse occhio; invece, si lasciò andare a sogni paicevoli a occhi aperti. Improvvisamente creava tutti i tipi di scuse per il marito assente: “Certamente lavora duro per il mio bene e il bene di nostro figlio. Di certo soffre la solitudine, la lontananza da casa, da suo figlio, che non ha mai visto. Naturalmente desidera vederlo ogni giorno. Di sicuro lo immagina bello, educato e felice. Come potrebbe essere altrimenti quando è suo padre e io sono sua madre ed entrambi siamo belli e affascinanti?”

Muḥammad venne, dispensando sorrisi a ciascun membro della famiglia. Prese in braccio il suo bambino, giocò con lui e lo baciò, mentre continuava a dire: “Bellissimo! Dio ti benedica, è diventato un uomo”.

Gli sguardi di Fāṭima erano incollati alle labbra dell’uomo mentre gli versava il caffè. La vecchia ballava di gioia mentre sentiva l’uomo ripetere di continuo: “Sta bene. L’ho visto proprio ieri. Mi ha accompagnato all’aereoporto. È in buona salute e manda a tutti i suoi saluti”.

Fāṭima era stanca di questi discorsi generaali perché non aveva sentito quel che voleva sentire. Ma quello che voleva rientrava nella categoria del “senza vergogna” e dell’“immoralità”. Come poteva porre la domanda che l’aveva resa insonne tutti quesi mesi e anni?

“Non ti ha detto quando tornerà da noi?”

L’ospite rimase indifferente. Non fece nessun tentativo di rispondere perché Fāṭima aveva rimangiato le parole che aveva sulla punta della lingua. Barriere insormontabili la trattenevano. La domanda era scivolata via con tutto quello che scivolava via in ogni momento nella sua anima, nel suo spirito nel suo cuore.

Ma l’ospite, Muḥammad, alla fine parlò. Disse molte cose senza cambiare tono di voce, come se stesse dando buone notizie o riportando eventi perfettamente naturali. Non capì che le sue parole stavano colpendo Fāṭima profondamente nell’animo, perché l’espressione di lei non cambiò. Non aveva questo privilegio. Molti sentimenti in quel momento le impedirono di reagire, non ultima la sua dignità ferita.

“At-Tāhar ha sposato una straniera e hanno avuto una figlia. Dice: ‘Non preoccupatevi per me, verrò a trovarvi quest’estate. Quanto a Fāṭima, se vuole può rimanere e se non vuole non le impedirò di tornare alla casa di suo padre. Ma mio figlio deve rimanere con mia madre di modo che posssa allevarlo’”.

Dopo aver salutato, l’uomo se ne andò.

La madre ricevette la notizia con un certo senso si orgoglio. E così, suo figlio era capace di sposare anche un’europea…

Fāṭima se ne andò? No, naturalmente no. Non tornò a casa di suo padre, perché non poteva sopportare di lasciare il suo figlioletto di due anni. Passarono i giorni e i mesi, mentre Fāṭima immaginava che tutto quello che era successo fosse un sogno, che i giorni a venire le avrebbero portato amore, felicità e rispetto, e che quel mare del diluvio si sarebbe prosciugato un giorno e avrebbe diminuito la distanza fra lei e il suo amato assente

 

[1] Il riferimento è al diluvio universale e al mare che si asciuga per permettere il passaggio di persone.