Qualche giorno fa, Chiara Comito ha pubblicato un post sulla sua pagina facebook nel quale, commentando il festival Mediterraneo Downtown di Prato, afferma:
[Chiara Comito è informata del fatto che la cito]
Come ovvio, l’affermazione ha suscitato alcuni commenti che mi hanno fatto riflettere e riporto qui queste mie riflessioni.
Intanto sono molto d’accordo con l’affermazione di Chiara. L’arte e la cultura araba stanno su benissimo da sole come si chiede. Non che la letteratura o l’arte siano avulse dalla realtà, al contrario. Nella letteratura c’è tutto, specialmente in quella araba e quando se ne parla essa può essere lo spunto per riflessioni ad ampio raggio, ma è dalla letteratura che si deve partire se sto presentanto una scrittrice o uno scrittore. Qualcuno nei commenti lmentava che parlando di letteratura non ci si occupa di estetica e teoria letteraria. Certo. Finché a presentare i romanzi e le raccolte poetiche sono persone che si occupano di geopolitica sarà difficile. E questo è un punto. Voglio dire, la responsabilità è duplice: di chi organizza questi eventi e non sceglie di invitare persone che si occupano di letteratura certamente, ma anche di chi, per visibilità, si presta a presentare testi letterari senza conoscere i metodi di analisi letteraria e senza nemmeno a volte aver letto il libro.
E quindi il discorso volge su politica e religione. Non se ne può più.
Forse, quindi, bisognerebbe imparare a dire no, grazie se viene chiesto di presentare un testo letterario e la letteratura non è il proprio campo di indagine. Così, chi organizza sarebbe costretto a invitare chi di letteratura si occupa. Analizzando un testo letterario si può parlare certo di politica, ma a partire dal testo letterario, che è cosa diversa.
Annullare l’apporto artistico e letterario significa solamente cancellare il più informazioni possibile sulle attrici e gli attori reali per ottenere una semplificazione astratta funzionale a collocare la cultura araba in una sfera platonica che pretende di essere verità assoluta, per creare distanza. Il messaggio che passa, così, è che nel “mondo arabo” la cultura sia inesistente, perché queste persone non fanno altro che occuparsi di religione e politica (secondo questo discourse ovviamente in senso violento).
Anche chi si occupa di letteratura dovrebbe imparare a dire no, grazie. A rifiutarsi di spostare il discorso e trasformare l’incontro con un’autrice o un autore o la presentazione di un libro nell’ennesima conferenza sul terrorismo o l’islam. A chiedere che la letteratura araba venga presentata per quello che è: letteratura, produzione di intellettuali, donne e uomini che pensano e che attraverso questa narrazione producono coscienza di sé e solleticano il nostro pensiero su temi che, il più delle volte, sono universali.
Ormai quasi tutti gli incontri vengono filmati e sono disponibili in rete; ogni tanto ne guardo qualcuno ed è raro che non sia così. L’autrice o l’autore presente viene messo in secondo piano e se non è presente, è solo il pretesto per una conferenza sui diritti umani o sulla geopolitca del Medio oriente. Questo indipendentemente dalla competenza di chi parla sul tema, sia chiaro.
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sottoscrivo in pieno