Stranieri residenti

 

Donatella Di Cesare. 2017. Stranieri residenti. Per una filosofia della migrazione. Torino: Bollati Boringhieri.

Del leggere e del sentir parlare di migranti che si fa non sono per nulla soddisfatta. Come spesso mi accade di percepire, mi manca la cornice teorica. Che è necessaria per poter dare più forza alle proprie azioni.

Un impulso intelligente mi è venuto dalla lettura di questo libro. Ero tra il pubblico di una conferenza a Macerata e una delle relatrici l’ha nominato sottolineandone l’importanza. E aveva ragione. Il testo di Di Cesare si propone come il primo a delineare una “filosofia della migrazione”; non so se questo sia vero, certo è che per la prima volta alcune cose si leggono a chiare lettere. Sottolineo a chiare lettere, perché mi è già giunta voce (l’università è un’unica grande portineria) che questo libro sia stato criticato perché “non scientifico”, immagino dai colleghi di Di Cesare. Quando ho sentito questo commento ho detto: “Eh certo, perché si capisce quello che c’è scritto”. Perché nelle Humanities scientifico equivale a incomprensibile se non agli addetti ai lavori, è noto.

A partire dall’affermazione che “la questione dei migranti non ha niente a che fare con problemi di sovrappopolamento”, piuttosto è un problema di “organizzazione politica”, Di Cesare analizza lo straniero dal punto di vista storico, filosofico e politico trasponendo considerazioni del passato nel contesto attuale. Molti riferimenti filosofici ovviamente (Anna Harendt mi pare sia la più presente), ma anche molti riferimenti letterari. Personalmente ci ho visto anche Deleuze, specialmente quando si parla di “Jus migrandi”.

Lo straniero è straniero residente perché non vi è più ospitalità, risiede ma è sempre straniero. Interroga lo stato nazione che, sebbene si erga a parole a difensore dei cosiddetti diritti umani continua a rimarcare la propria sovranità, in una contraddizione perenne.

Un libro davvero bello, la cui lettura consiglio in questi tempi bui.