Strong Religion

G. A. Almond-R. Scott Appleby-E. Sivan, Strong Religion: The Rise of Fundamentalism around the World, The University of Chicago Press, Chicago and London 2003

Strong religion rappresenta la summa del decennale Fundamentalism Project, importante sforzo di studiosi di diversa formazione volto a investigare se fenomeni sociologici possano rivelare somiglianze fra i gruppi cosiddetti fondamentalisti  delle principali religioni. Un totale di 75 movimenti sono stati analizzati da storici, antropologi, sociologi e studiosi di scienza politica. I gruppi inclusi sono appartenenti a cristianesimo, ebraismo, islam induismo, buddismo sikkismo e neoconfucianesimo.

Il volume prende l’avvio definendo la “cultura dell’enclave”, chiarendo che essa si sviluppa come risultato della marginalizzazione della religione nelle società industrializzate così come in quelle in via di sviluppo. I gruppi fondamentalisti, ci viene detto, sono “enclave like”; vivono isolati, completamente separti dal resto della società, all’interno di “mura” reali o virtuali. Questi gruppi traggono il proprio impeto da un antagonismo strutturato nei confronti della società, in ogni caso considerata come l’altro cui opporsi. I loro membri sono legati da un forte senso di unità; credono in una fede che generalmente si rifà a un libro sacro come fonte per ogni cosa e in ogni tempo e, in linea di massima, offrono ai membri solamente una ricompensa morale.

Passo dopo passo il volume presenta il genere e la specie del fondamentalismo – distinguendo le numerose strong religion in due filoni principali: i credo abramitici, ossia ebraismo, crisitanesimo e islam, e quelli sincretici come induismo e buddismo, che tendono a un sincretismo di obbiettivi religiosi, razziali ed etnici. Con un’acuta analisi Strong Religion presenta le parole chiave di questi movimenti, collocandoli all’interno della società da cui originano e sottolineando come essi rappresentino una reazione a determinate configurazioni politiche e sociali. Come movimenti che nascono per reazione, non hanno un obbiettivo politico preciso, e riducono la loro visione del mondo a una modalità manichea, selezionando fra ciò che si trova all’interno e ciò che si colloca all’esterno dei propri confini.

In tal modo i gruppi fondamentalisti possono solo credere a una conclusione miracolosa del loro cammino, che risolverà tutti i problemi contingenti che la comunità si trova a dover affrontare, e che ricompenserà coloro che stanno “dentro”, punendo coloro che sono “fuori”. Per perseguire l’obbiettivo, in armonia con questa visione del mondo, vengono poste regole fisse ai membri del gruppo riguardo ad autorità, comportamenti e relazioni fra i membri.

Dopo un’introduzione molto ampia, gli autori analizzano oltre 20 gruppi o movimenti per verificare se sia possible catalogarli con la denominazione di fondamentalisti.

Scritto in uno stile fresco, Strong Religion costringe il lettore a pensare criticamente al fondamentalismo, presentandolo in contesti politici ed etnici differenti. Poiché il contesto e il regime politico influenzano le strategie e l’influenza esercitata da questi movimenti, si hanno due conclusioni: innanzitutto, dopo aver letto il volume, non è più possibile pensare che esistano religioni più inclini di altre al fondamentalismo e, in secondo luogo, è chiaro che esiste una relazione tra i regimi autoritari e la nascita di questi movimenti. Di conseguenza, l’unico modo per combatterli è sviluppare una società secolare e pluralista dal punto di vista culturale e ideologico. In breve, solo in una società democratica i movimenti fondamentalisti possono essere gestiti dall'”interno”, poiché esisteranno sempre. Stimolando la loro tendenza a vedere il futuro come lo spazio e il luogo dove la loro missione sarà compiuta, una società democratica può accoglierli nella dinamica del cambiamento, pilastro dei sistemi politici democratici. La società ospite, allora, trasformandoli in una voce arricchente, poiché fornisce loro la possibilità di partecipare al dibattito pubblico, li costringerà a scegliere un attivismo pacifico.

Al termine di un volume così intenso gli autori si chiedono quale sia il furuto per le strong religion e suggeriscono alcuni percorsi, lasciando libero il lettore di trarre le proprie conclusioni. In ogni caso si afferma:

“Le comunità religiose non fondamentaliste che scelgono di ignorare queste e altre questioni sollevate dal fondamentalismo lo fanno a proprio rischio e pericolo. […] lo stesso vale per i politici, i diplomatici, gli educatori e gli uomini di scienza, inclusi coloro che continuano a meravigliarsi falsamente di come la religone militante abbia una nuova ondata di vitalità nella nostra epoca, che si presuppone post religiosa”.

Questa è la sfida del nuovo millennio.