Arabesques

H. Walter-B. Baraké, Arabesques. L’aventure de la langue arabe en Occident, Robert Laffont, Paris 2006

“In un’opera simile vorrei la scrittura appunto come il parlare, cioè ch’avesse piuttosto del proprio che del metaforico, del pellegrino; e del corrente, più che dell’affettato”.

Così Annibal Caro scriveva, nel 1547 e così, a nostro parere, scrive l’autrice di Arabesques, professore emerito di Linguistica, quando ci parla della lingua araba. Scelta sicuramente consapevole, poiché nell’Introduzione afferma di aver voluto un’opera “à la fois sèrieux et distrayant”, obbiettivo che, a nostro parere, è stato pienamente raggiunto.

Partendo dalle origini della lingua araba veniamo introdotti alla sua storia, ai rapporti che essa ha intrattenuto con altre lingue, in particolare ovviamente con la lingua francese, e a una serie di notizie e curiosità interessanti e anche divertenti con un linguaggio chiaro, comprensibile a tutti ma non per questo meno documentato e appropriato.

Lo studio della lingua araba, in Francia così come nel nostro paese, ha una sua storia che lo porta spesso a essere assimilato a una lingua morta come il latino, atteggiamento che fa sì che l’aggettivo più spesso accostato a questa lingua sia “difficile”. Ma la lingua araba è una lingua come tutte le altre e Arabesque ci conduce attraverso un viaggio piacevole per farci comprendere come lingue lontane per origine in realtà si arricchiscano l’un l’altra vicendevolmente da oltre un millennio.

Il testo si snoda in 320 pagine che si leggono in un fiato ed è inframmezzato da numerosi box di “ricreazione” nei quali ci vengono proposti indovinelli legati alla lingua araba e ai suoi rapporti con l’Occidente, tutti volti a renderci meno aliena questa lingua e a stimolare il lettore a continuare il percorso quando la quantità di informazioni fornite potrebbe farlo desistere dal proseguire.

La lettura di questo volume ce ne ha ricordata un’altra, in italiano, di un testo pubblicato oltre dieci anni fa, ma che non ha perso in freschezza e originalità, anche perché rimasta unica nel panorama editoriale, quella di M. Vallaro, Parliamo arabo? Profilo (dal vero) d’uno spauracchio linguistico, Promolibri Magnanelli, Torino 1997. Anche qui, la piacevolezza della lettura – per stile e per la sottile vena umoristica che percorre il testo – aiutava a comprendere quanto in realtà questa lingua sia “difficile” tanto quanto un’altra e come, al contrario, si possano trovare, utilizzando un nuovo approccio, somiglianze con le strutture della lingua italiana o di lingue straniere cui siamo più avvezzi e che contribuiscono a sfatare questo mito.

Consigliamo la lettura di entrambi a chi in primo luogo l’arabo ha studiato o studia, ma anche a chi desideri comprendere un po’ di più quale sia il misterioso universo degli “arabisti”, spesso oggetto di “quell’infantile ammirazione che si prova per chi scala le vette a mani nude o attraversa il Pacifico in zattera” (Vallaro).

In tal modo, forse, essi stessi non si considererebbero tali.