Scientificità e originalità

Una docente dell’Università della Nuova Zelanda Linda Tuhiwai Smith, che si occupa di decolonizzare le metodologie, afferma in un suo saggio (citando Audre Lorde):

“The master’s tool will never dismantle the master’s house”. Sagge parole.

Sul fatto che io sia critica nei confronti del concetto di scientificità ho già detto più volte; aggiungo qui che la critica andrebbe portata alle discipline volte alla conoscenza che definiscono le proprie metodologie e i propri sistemi di classificazione e rappresentazione – per non dire che forse andrebbe chiarita la differenza fra metodo e metodologia, che vedo sempre più spesso confusi tra loro. Tuhiwai Smith elenca alcuni settori che andrebbero ripensati, come per esempio le istituzioni e le infrastrutture, il fatto che le discipline siano “embedded” nell’imperialismo, nella produzione della conoscenza e nello sviluppo della scienza e via di seguito.

In lingua italiana pare che per essere scientifici – parlo delle discipline umanistiche che sono quelle che frequento – una delle caratteristiche principali sia quella di dover utilizzare un linguaggio criptico, spesso scorretto dal punto di vista dell’italiano e che dopo circa dieci righe di lettura ha un’azione profondamente soporifera sul lettore, che peraltro non viene considerato minimamente, visto che si scrive più per se stessi, in modo completamente autoreferenziale. Pena l’essere considerati superficiali, poiché il fatto che discostarsi dal canone sia una scelta non passa nemmeno per la testa di chi vi legge.

Quanto all’originalità mi pare quasi sia diventata una parolaccia. Originale dovrebbe significare che chi scrive porta qualche elemento di novità al dibattito, non necessariamente da tutti condivisibile, a mio parere, ma che questo dibattito, che dovrebbe ben esserci, alimenta e feconda. E invece originalità ormai significa non dire nulla di nuovo.