La guerra lavora duro

 

 

 

 

 

 

D. Mikhail, La guerra lavora duro, Trad. e cura di Elena Chiti, San Marco dei Giustiniani, Genova 2011

Su questo blog  ho parlato spesso autori che, attraverso l’atto dello scrivere, manifestano il loro dissenso alla guerra, anche per mezzo di un atto poetico, convinta che la letteratura sia un’arma efficace. Per questo sono grata a Elena Chiti, che mi ha inviato una copia di questo bel volume di Dunya Mikhail, irachena.

Come mi racconta la traduttrice, per cinque anni ha cercato di veder pubblicato questo volume e, alla fine, è uscito per San Marco dei Giustiniani, in una collana che ha già pubblicato diversi poeti arabi e che mi piace molto, a cominciare dall’essenzialità della copertina, anche se ritengo che sia di difficile reperimento, ahimé.

In ogni caso, le poesie di Mikhail mi sono piaciute molto. Perché con un linguaggio semplice (cosa che considero un valore) riescono a trasmettere emozioni forti, anche attraverso un uso dello spazio della pagina bianca estremamente efficace, dove le lettere si dispongono in modi inconsueti.

Il tema è la guerra, ma non nella descrizione delle battaglie, quanto piuttosto nella desolazione che lascia attorno a sé, nella disperazione dell’attesa, nella mancanza di futuro e di possibilità di vita.

“Ho disegnato una porta/e mi ci sono seduta dietro/per aprirla appena arrivate”.

Gli eroi, in Mikhail, sono per lo più eroine naturalmente, ma ciò non significa che la sua sia una poesia “femminile” – come è stato detto e dove l’aggettivo è inteso in senso negativo. Significa utilizzare lo strumento poetico per opporsi a una narrazione ufficiale della guerra e proporne un’altra, che non ha a che fare con le dinamiche di potere. Poiché le narrazioni ufficiali, siano esse di una parte o dell’altra, annullano l’umanità. Per questo

l’hostess non sorriderà/lo studente non leggerà la lettera/l’attrice non interpreterà la principessa/l’uomo d’affari non andrà alla riunione/il marito non vedrà la moglie….

Dell’umanità cancellata restano solo sacchi di ossa o mura che in qualche modo hanno assorbito l’esistenza di chi le ha abitate (Chissà se indovinerete/voi che abitate in casa nostra/chissà se indovinerete/che a volte non c’è niente che conta) e la guerra per chi la vive filtrata dai media diventa un gioco:

Voglio disegnare la guerra/Disegnala, amore/Disegnata/E questo cerchio cos’è?/Indovina/Una goccia di sangue?/No/Uno sparo?/No/Che cosa allora?/Un interruttore per spegnere la luce.

Mikhail ha ricevuto poca attenzione dall’accademia (il che non è una novità); di lei si è occupata Miriam Cooke nel suo bellissimo Women and the War Story – del quale mi accorgo ora di non aver mai imperdonabilmente parlato. Un merito quindi a Elena Chiti che ce la offre in italiano, traduzione per la quale tra l’altro è stata anche segnalata al Premio Marazza Traduzione di Poesia Opera Prima nel 2012.

Ah perbacco, un’altra traduttrice che non riesce a pubblicare le sue traduzioni ma vince premi.

 

 

 

Una risposta a “La guerra lavora duro”

  1. Salve Jolanda, pur avendo io una quasi veneranda età non conoscevo il Suo blog, l’ho incontrato per caso oggi mentre verificavo – spippolando in modo un pò maldestro, al mio solito, su internet – l’eventuale già avvenuta utilizzazione di un titolo assai fascinant per una mia prossima pubblicazione di racconti (mi pareva bello L’anello di sabbia…pensi un pò).
    Così mi è capitato di incontrarLa…per strada, è normale, ho molto viaggiato in Nordafrica, per trent’anni e mi piace dire che andando per deserti talvolta si usa incrociare tante tracce sconosciute, che spesso però conducono tutte allo stesso punto, un pozzo, un valico, un luogo in cui non sapevi che ti saresti trovato ma che faceva parte del tuo sconosciuto percorso, così oggi mi è capitato di incrociare la Sua di traccia, bella marcata sul reg e come ad ogni incrocio di viandanti (una volta, anni fa, ci si fermava anche fuori-pista, anche solo per parlare, tra sconosciuti, poi qualcuno mi disse che i tempi eran cambiati, pas de confiance sur piste!) mi sono soffermato. Sarei onorato Lei avesse modo di leggere i miei racconti (La notte al Sahara è cielo-Lettera da Agadez-Libia:sull’orlo del vulcano) o il mio saggio dell’aprile scorso “Libia il naufragio dell’Europa” che è un e.book reperibile su Amazon che tra l’altro ne offre una ampia anteprima.
    Beh, a presto, spero. E mi scusi per il fuori-tema, forse avrei dovuto cercare un contatto diverso ma ripeto sono poco agile con questo strumento…
    Emilio Borelli

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