Diràsa fi masàdir l-adab

T. A. Makki, Diràsa fi masàdir l-adab, Dàr al-fikr al-‘arabi, al-Qàhira 1999

Per una volta, a raccontarci quali sono le fonti della letteratura araba, lasciamo che sia un arabo. Ahmad Makki, professore all’Università non americana del Cairo. Non che troveremo chissà quali novità, naturalmente, diversa sarà tuttavia la prospettiva in cui le fonti dell letteratura araba vengono presentate e considerate in rapporto alla letteratura araba contemporanea.

Il volume si apre con una considerazione sulla differenza tra la lingua araba e le altre lingue contemporanee e cioè che un italiano, uno spagnolo o un francese, se vogliono oggi leggere un testo scritto mille anni fa, per farlo hanno bisogno di studiare la lingua del’epoca che è profondamente diversa da quella di oggi mentre un arabo può leggere un testo di oggi e uno del nono secolo con la stessa facilità; opinione questa molto diffusa non solo fra gli arabi ma che presuppone un’immutabilità linguistica molto lontana dalla realtà della lingua.

Prosegue quindi con una disamina dell’evoluzione della scrittura e un bel capitolo sul manoscritto arabo citando numerose fonti alle quali è possible attingere per lo studio della letteratura dei primi secoli dell’Islàm oltre quelle nominate di solito, per passare poi a un approfondimento del patrimonio poetico e della costruzione di una poetica araba.

Per ogni testo presentato Makki introduce brevemente l’autore, approfondisce il contesto in cui questi opera, discute ampiamente il o i manoscritti noti del testo, precisando ove sia necessario, le più recenti scoperte della ricerca, ne tratteggia la struttura e, infine, ne discute l’attualità e il valore nell’ambito del contesto più ampio del volume.

Scorrono sotto i nostri occhi fra i teorici al-Giahiz, al-Mubarrad, Ibn Qutayba e al-Isfahani ma anche Ibn Abd Rabbihi, al- Giamhi, al-Maqarri  e Ibn Bassàm…

Scopo del volume, come afferma l’autore, non è quello di essere esaustivo ma di “porre nelle mani del ricercatore arabo una panoramica coerente delle principali fonti sulla letteratura araba, nella molteplicità di provenienza, di modo che siano una guida nel suo viaggio verso la conoscenza”.

2 Risposte a “Diràsa fi masàdir l-adab”

  1. Leggo con particolare interesse sul tuo blog gli interventi che parlano di saggistica araba, visto, come intendo tu voglia sottolineare, che qui da noi l’attenzione che vi si presta è piuttosto scarsa.
    C’è della critica letteraria italiana che trovo molto piacevole da leggere, penso a Cesare Garboli (e mi va di ricordare anche Domenico Scarpa, molto bravo!), e che per me è vera e propria letteratura, ma mi chiedo quanto questo genere di testi possa essere apprezzato e capito da un pubblico non italiano. Così per la critica letteraria araba che mi piacerebbe conoscere mi chiedo se ci sia poi spazio e interesse (in Italia, mettiamo) per la sua conoscenza, concedo: anche solo per la piccola nicchia di appassionati e curiosi.
    E magari un giorno la biblioteca civica di Saronno avrà tanti scaffali per la letteratura araba quanto per quella americana…

    1. la domanda è legittima, tuttavia, finché non si cerca di diffonderli non sarà dato saperlo…
      questo vale per il “grande” pubblico; per la “piccola nicchia”, come la chiami tu, credo sia doveroso. dovrebbe far parte del mio essere studiosa del mondo arabo leggere gli arabi e tener conto del loro modo di ragionare sulla loro cultura, o no? ti faccio un esempio: nella prefazione al suo libro sul corano, scarcia amoretti afferma che esistono molti commentari di cui bisognerebbe tener conto ma che non esistono repertori sinottici che diano conto dell’insieme della letteratura esegetica e che ci si limita solo ad alcuni (p. 13). a me questo libro è piaciuto molto, e ovviamente detto da un personaggio di questa levatura l’affermazione è importante. ma in arabo questi commentari ci sono tutti editati e con apparato critico ed esistono molti studi che vanno della direzione auspicata. voglio dire, il riferimento è solo a studi fatti da occidentali… niente di male, intendiamoci, ma è sicuramente indice di un certo modo di vedere le cose

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