Storia di Mar Yahballaha e di Rabban Sauma – Cronaca siriaca del XIV secolo

P. G. Borbone, Storia di Mar Yahballaha e di Rabban Sauma – Cronaca siriaca del XIV secolo, lulu press 2010

Quando il pese del dragone non era la Cina

Mi trovo fra le mani uno di quei libri di cui da tempo mi auguravo l’esistenza (se non addirittura avrei voluto realizzare).
Si tratta della Storia di Mar Yahallaha e di Rabban Sauma – Cronaca siriaca del XIV secolo a cura di Pier Giorgio Borbone.
Sin da quando, una quindicina di anni, fa avevo scoperto l’esistenza di questo testo, infatti, ho sempre desiderato che ne uscisse un’edizione italiana. E questa edizione (in realtà la seconda in lingua italiana, riveduta e corretta, la prima era del 2008; per i tipi di Zamorani nel 2000 il volume è uscito in lingua inglese con il titolo Storia di Mar Yahballaha e di Rabban Sauma – Un orientale in Occidente ai tempi di Marco Polo), corrisponde esattamente ai miei desideri: traduzione, commento e bibliografia, testo siriaco, belle illustrazioni.

Vi si narra la storia di due monaci nestoriani turchi (sinizzati) di Khanbaliq che compiono un viaggio esattamente inverso rispetto a quello di Marco Polo e Guglielmo da Rubruck. In particolare mentre Mar Yahballaha – che prima di essere eletto Patriarca d’Oriene si chiamava Marco! – si fermò a Baghdad, Rabban Sauma arrivò fino alla Bretagna, passando, fra l’altro, per Gerusalemme, Napoli, Roma, Genova e Parigi, dove fu ricevuto dal Papa, dal re di Francia e dal re d’Inghilterra.

Non mi soffermo sulla differenza nelle motivazioni che spinsero i due a fare questo viaggio verso Occidente, rispetto a quelle che spingevano i Polo ad andare in Oriente.

Sottolineo invece un passaggio curioso.

Navigando davanti alla Sicilia, al pari molti altri suoi predecessori, Rabban Sauma ovviamente nota:

 

una montagna dalla quale per tutto il giorno sale fumo, mentre di notte vi compare il fuoco, nessuno può avventurarsi nei suoi paraggi a causa dell’oodore di zolfo

Evidentemente l’Etna. E aggiunge:

La gente dice che lì si trova un grande serpente, perciò quel mare è chiamato ‘mare del dragone’.

 

La spiegazione è filologica: “dragone” in siriaco suona attalya, parola che richiama il nome dell’Italia (e in scrittura siriaca le due parole sono praticamente identiche). Evidentemente nella mente di Rabban Sauma l’etimologia appariva evidente: l’Italia si chiama così perché è il “Paese del Dragone”.

[E giù diatribe su chi copia chi…]

Daniele Mascitelli