Storia della cultura indo-musulmana

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Daniela Bredi, Storia della cultura indo-musulmana, Carocci, Roma 2006

 “Per il loro numero mai strabocchevole, per la loro razza, non troppo aliena, i musulmani, penetrando in India, potevano sembrare uno dei tanti invasori venuti nel corso dei secoli a diluirsi nell’immenso paese. Non fu così. La religione – meglio la civiltà – dei musulmani rappresentò per l’India qualcosa di nuovo e di assolutamente refrattario: […] L’India è il solo paese asiatico ove l’islam ha goduto, per secoli, una surpemazia politica quasi assoluta, senza venire a capo della sua conqusita religiosa” (V. Vacca, L’India musulmana, 1942).

Una storia della cultura indo-musulmana non è ancora stata scritta. cioè a dire un percorso che a partire dalle manifestazioni culturali renda conto dello sviluppo storico di una parte del subcontinente indiano troppo spesso lasciata in disparte o percepita come distruttrice di una cultura millenaria già presente sul territorio sul quale, a partire dall’VIII secolo, iniziò la penetrazione, dapprima pacifica, in seguito militare. Come giustamente afferma l’autrice “furono i musulmani a definire per primi l’India come una sola civiltà, facendone un concetto separato e tracciandone le delimitazioni, fu nell’interazione con l’Islam che gli indiani acquisirono un’identità collettiva”.
Non solo: non dobbiamo dimenticare la vastissima produzione culturale nelle lingue cosiddette “muslmane” del subcontinente: in arabo, persiano e turco, ma anche in urdu, sindhi, pashto, panjabi e in parte bengali. Il contributo dei musulmani in ambito culturale letterario in India è molto vasto e la quantità di letteratura composta, ad esempio, in persiano è superiore a quella prodotta nell’Iran stesso.
L’islamizzazione dell’India ebbe inizio nel 711, quando Muhammad ibn Qàsim conquistò il Sind fino a Multan e pose le basi per il dominio musulmano, ma la vera e propria conquista si ebbe con Mahmùd di Ghazna che, nel 1001, occupò quasi interamente l’attuale territorio del Pakistan. Fin dall’inizio la presenza di sufi costituì motivo del grande impulso che venne dato alle lingue locali, utilizzate per meglio islamizzare il territorio. L’India fu anche sede di numerosi scambi fra studiosi: autori indiani erano noti agli arabi e numeorsi intellettuali indiani si recarono a Mecca tra il XVI e il XVII secolo. Sempre per motivi legati al fatto religioso alla fine del XIX secolo il Sahìh di al-Bukhari era già tradotto in urdu e bengali. Il sostegno e lo sviluppo delle lingue locali da parte dei musulmani portò a un interesse per la letteratura; da sempre interessati al fatto poetico i musulmani arabi tradussero poeti del Sind come Abu ‘Atà, la cui poesia venne considerata degna di essere inclusa nella Hamàsa, la celebre raccolta di Abu Tammàm e la retorica indiana venne discussa nel Kitàb al-bayàn di Gàhiz.
Se sottolineo questo interesse per la lingua, è perché esso, a mio avviso, va inquadrato nel contesto che la vede come un elemento forte per la definizione dell’identità cultuale e non va sottovalutato se si pensa al contesto moderno-contemporaneo, basti pensare al ruolo della urdu nella formazione del Pakistan o a quello del bengali nella secessione del Bangladesh. I paradossi della politica legata alla formazione delle singole nazionalità del subcontinente si riflettono nel mondo linguistico.
Una storia della cultura indo-musulmana era dunque necessaria per mettere a fuoco le interconnessioni fra produzione culturale e  potere, anche se tutto ciò ci viene solo in parte presentato nel testo di Daniela Bredi che privilegia, nonostante il titolo, l’aspetto storico, purtuttavia colmando una lacuna, quella dello studio dell’India musulmana che ha visto un felice periodo di pubblicazioni in anni ormai lontani con volumi come quello di Virginia Vacca e che appartengono a un modo di leggere la realtà ormai non più al passo coi tempi. Quest’ultima osservazione è rilevabile anche dai numerosi riferimenti presenti nelle note al volume, che per la quasi totalità sono in lingua inglese, così come i testi citati in bibliografia, dove ci fa piacere segnalare la presenza del volume The Venture of Islam di Marshall G.S. Hodgson, un testo purtroppo ancora troppo poco conosciuto in Italia.