Of Dishes and Discourse

G. J. van Gelder, Of Dishes and Discourse. Classical Arabic Literary Representations of Food, Curzon, Richmond Surrey 2000

Il testo più antico che parla di cucina è una tavoletta in accadico che descrive le ricette più antiche a noi note: data del 1750 prima della nostra era circa, l’epoca di Hammurabi. Come dire che il cibo e quanto a esso correlato, ricette ma anche comportamenti a tavola, salute e conversazione davanti al desco sono da sempre oggetto di descrizione e analisi.

Per quel che riguarda il mondo arabo musulmano le nostre conoscenze si rifanno principalmente al califfato abbaside che anche del cibo fece un’arte e un soggetto su cui scrivere e di cui leggere e, in una parola, uno degli argomenti in cui un adìb doveva essere versato.

Sull’argomento noti e fondamentali restano gli studi di Maxime Rodinson e la traduzione di Charles Perry di un trattato A Baghdad Cookery Book, recentemente ripreso anche in lingua italiana.

Of Dishes and Discourse ripercorre a partire dal IV secolo della hijra e dalla qasìda il discorso intorno al cibo nella cultura araba evidenziando come esso possa essere rappresentato in forma letteraria.

Dalla poesia alla creazione di una nuova etica/estetica legata all’alimentazione che, come per altri aspetti, si rifà al Corano, in particolare ai passaggi nei quali al credente viene suggerito di godere di ciò che Dio ha creato e che sono posti a esergo di numerosi trattati alimentari. Quest’etica della tavola diventerà in seguito una sezione imprescindibile in ogni buon trattato di adab: Ibn Qutayba, a esempio, paragona la sua opera – ‘Uyùn al-akhbàr – a “una tavola con piatti differenti dal gusto vario, secondo l’appetito dei commensali”.

Un interessante capitolo sulle metafore alimentari conclude questo volume stracolmo di citazioni che si ferma al livello descrittivo del tema, lasciando aperti numerosi interrogativi e prospettive di studio.