Una nuova collana di traduzioni dall’arabo

Sono molto contenta di presentare i primi titoli della nuova collana Barzakh di traduzioni dall’arabo di Jouvence.
Partiamo dalla narrativa. I primi due titoli sono Bisturi, di Kamel Rihai, tradotto da Francesco Leggio e Viaggio contro il tempo, di Emily Nasrallah, tradotto da Nadia Rocchetti (in uscita ad aprile).

 

 

 

 

 

 

 

 

In Bisturi  il pretesto per la narrazione a più voci è la presenza di uno sconosciuto che si aggira per la città con appunto un bisturi con il quale sfregia le donne. Il romanzo, maturato fra il 2001 e il 2006, è un riflesso letterario del mondo al quale si è ribellata la popolazione soprattutto giovanile tunisina nella primavera araba del 2011. Prendendo spunto da un fatto di cronaca, mette in luce il mondo notturno e sotterraneo di una Tunisi del margine, che si muove nel centro nevralgico della città: avenue Bourguiba, la cui conformazione ad asse separa la laguna di Tunisi dalla vecchia città araba, con una torre-orologio ultramoderna che ha rimpiazzato la statua equestre del vecchio fondatore della Tunisia moderna (Habib Bourguiba) dalla parte del mare e, all’altro estremo, la statua di Ibn Khaldun che fa da cerniera con la città antica. Quasi tutto si svolge esattamente a metà strada fra i due monumenti, dove sorge il caffè La rotonde, luogo di ritrovo della Tunisi reietta e alternativa. Con naturalezza il testo passa attraverso molteplici stili e registri: la poesia moderna del paratesto, lo stile pseudo giornalistico burocratico del capitolo introduttivo, il tono intimo della memoria personale di un ambiente rurale immerso nell’animismo e nella miseria, lo stile surrealmente medievale la lingua violenta della devianza. Il tutto reso in un italiano graffiante da Francesco Leggio, un ottimo traduttore dall’arabo e fine conoscitore della Tunisia. È il primo romanzo dell’autore tradotto in italiano.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Viaggio contro il tempo tratta invece di un tema assai attuale, quello della migrazione. Il romanzo – anche in questo caso prima traduzione  in lingua italiana di un romanzo dell’autrice – si snoda attraverso un’equilibrata combinazione di momenti d’azione lineare, inserti retrospettivi e monologhi interiori e, a livello di contenuti, rappresenta un passaggio cruciale entro la produzione dell’autrice. Nasrallah osserva la migrazione da svariate prospettive ed esamina i devastanti effetti della guerra civile su due figure prototipiche, l’abitante di un villaggio rurale e l’emigrante. Inoltre, riflette sui valori e sulle pratiche associati al sentimento d’appartenenza, esplorando la dimensione più umanista del concetto di nazionalismo. In tal senso, la condivisione della sofferenza si trasforma in impegno attivo e assunzione di responsabilità individuale nei confronti dell’intera nazione. Tale discorso risulta estremamente pregnante nei confronti della società libanese contemporanea, che continua a leggere le pagine più oscure della propria storia attraverso le comode lenti dell’amnesia collettiva e che fatica a scalfire le logiche di un rigido e miope confessionalismo. Nadia Rocchetti, grazie alla sua profonda conoscenza dell’arabo e del Libano, rende la lettura in lingua italiana un piacere.

 

 

 

 

 

 

 

 

Veniamo alla poesia. È da poco uscito Undici pianeti di Mahmud Darwish nella bella traduzione di Silvia Moresi, che si conferma con questo testo particolarmente versata nel tradurre poesia.

Il tema dell’esilio è da sempre centrale nell’opera di Mahmùd Darwìsh; in questa raccolta raccolta il tema si amplifica a comprendere tutti gli esili e, di conseguenza, tutte le situazioni in cui vi è sfruttamento dell’umanità. Non casualmente, infatti, Undici pianeti, secondo le parole stesse dell’autore, fa riferimento a due cambiamenti storici nella storia dell’umanità: la cacciata definitiva degli Arabi da Al-àndalus e la scoperta dell’America, entrambi avvenuti nel 1492. Due esili – quello degli Arabi dalla Spagna e quello degli Indiani d’America scacciati dalle loro terre – distanti spazialmente ma che, uniti dalla coincidenza temporale, sono simili anche perché entrambi i popoli parleranno da quel momento per sempre di esilio e troveranno nella parola la meterializzazione di una lontananza e di una nostalgia dalla propria terra che perdura sino a oggi. Undici pianeti resta così uno degli ultimi poemi epici dell’età contemporanea: un’epica, tuttavia, incompiuta, poiché non prodotta a posteriori per ricordare una storia ormai conclusa. In questo caso si tratta di un poema epico in divenire, nel quale è il poeta stesso a essere un esilio, in senso fisico e metaforico, a incarnare quest’epica permanente che non trova la sua conclusione.

Sono particolarmente soddisfatta del fatto che la nuova collana abbia anche una linea di traduzioni poetiche, un atto coraggioso da parte dell’editore.

In cantiere altri titoli molto interessanti.