Le prigioni della mente araba

T. Heggy, Le prigioni della mente araba, trad. di V. Colombo, Marietti, Genova-Milano 2010

L’esergo che ci accoglie al visitare il sito (qui) di Tarek Heggy, “intellettuale liberale”, così come viene definito nel testo che qui presentiamo, è il seguente: “La tirannia, la corruzione e un’educazione arretrata sono le cause principali delle condizioni attuali del Medio Oriente”.

In effetti egli imputa a cinque fattori principali le condizioni del “Medio Oriente” e dell’Egitto in particolare – all’Egitto e agli egiziani si rivolge esplicitamente in questa raccolta di saggi: la mancanza di democrazia, il diffondersi dell’ideologia wahhabita in particolare rappresentata dalla politica dell’Arabia Saudita, la diffusione – grazie ai petroldollari sauditi – di una mentalità tribale, l’estrema arretratezza del sistema educativo e, per finire, la corruzione.

Il testo raccoglie diciassette saggi che si occupano di spiegare in modo articolato questa posizione, per diversi aspetti condivisibile e per chiamare gli egiziani a reagire a uno stato di cose che, sempre secondo Heggy, non li rappresenta ma è importato e contrario a una lunga tradizione musulmana di tolleranza e convivenza pacifica tra musulmani, ebrei e cristiani.

Diciamo non totalmente condivisibile innanzitutto per l’eccessiva insistenza a voler stigmatizzare l’Arabia Saudita come fonte di tutti i mali dei paesi musulmani contemporanei e come sola variabile per la diffusione del fondamentalismo, ancora una volta andando a cercare cause esterne per problemi che, a nostro parere, hanno una causa più endogena; e, in secondo luogo, per la tendenza a utilizzare un certo tipo di terminologia come quella usata nel titolo (prigioni della mente) che è possibile ritrovare anche in altre pubblicazioni (tanto per citarne una L’infelicità araba) che a noi pare – ma sicuramente sbagliamo – sempre ricondurre i problemi del mondo arabo a questioni legate al fatalismo a una sorta di “malformazione” intrinseca e che proprio non riusciamo a condividere.

Ciò detto le idee esposte da Heggy sono comunque molto interessanti, l’analisi spesso acuta e in alcuni punti suscettibile di paralleli con situazioni a noi più note, come quando afferma:

“La morte di un sano processo di mobilità sociale favorisce una situazione statica in cui elementi mediocri arrivano a occupare posizioni dirigenziali solo perché accettano – ancor peggio sostengono – l’oppressione e giurano fedeltà assoluta ai loro superiori” (p.35)

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