La responsabilità personale

L’altro giorno, parlando di un concorso che si svolgerà fra poco con una mia amica, questa mi diceva la solita frase: “E’ il sistema che è così”. Imputando la responsabilità al sistema e non alle persone.  Non so se sia un suo pensiero, probabilmente riferiva l’affermazione di qualcun altro.

Rispondevo ovviamente che non ero d’accordo e che si può sempre scegliere, anche se si è all’interno di un “sistema”, visto che questo, guarda caso, è fatto di persone. Le ho anche citato la frase che ho sulla bacheca di fb: “Il contesto è il rifugio dei farabutti, che lo usano a giustificazione delle malefatte”.

Stamattina stavo preparando la shlita e nel frattempo ascoltavo la radio. Una bellissima trasmissione che, tra l’altro, ha parlato della riapertura del processo  per l’eccidio nazista di Cefalonia. L’oggetto della discussione era che l’imputato (ormai deceduto) non era uno dei responsabili  che hanno dato l’ordine, ma un militare esecutore. Il conduttore ha intervistato la figlia di uno degli ufficiali uccisi che ha tra l’altro detto che, quando va nelle scuole a parlare, ricorda sempre che esiste la responsabilità personale.

Il mio cervello ha collegato le due cose. La modalità – tranquilli con le dovute differenze – è la stessa. E mi è venuta in mente l’ultima pagina de La banalità del male, dove Hanna Arendt dice più o meno le stesse cose.