La ragazza dei miei sogni

A. R. Huhu. La ragazza dei miei sogni

La domenica, i miei compagni di università si abbandonavano al loro sport preferito: corteggiare le ragazze. Erano flirt innocenti, per strada o nelle sale cinematografiche.

La sera, tornavano insieme all’università, sfiniti da tanto vagare per la città. A cena, un chiasso infernale: ognuno raccontava le sue avventure lungo il succedersi delle portate e spiegava piani e strategie per abbordare le ragazze. Ovviamente l’immaginazione giocava un ruolo importante in questi racconti, che spesso ricalcavano il film appena visto.

Ero il solo studente che ascoltava con attenzione le avventure estremamente presuntose degli altri senza prendere parte alla conversazione. Ne soffrivo, ma che fare? Non avevo mai avuto la fortuna di abbordare una ragazza, nemmeno una volta anche solo per parlarne coi compagni con altrettanta superbia e presunzione. La faccenda era divenuta per me così grave che, quando si informavano dei miei piani per la domenica, scappavo per nascondere la mia timidezza e la mia passività. Poi, una volta solo, mi lamentavo della mia sorte.

La domenica era l’unico giorno in cui gli interni potevano uscire. Per me, passava molto in fretta, ed era sempre infruttuosa. Cercavo di continuo di abbordare qualcuna, seguendo questa, individuando quella, ma senza risultato. Se una ragazza mi gettava uno sguardo furtivo, scappavo, turbato e tremante di emozione. Avevo paura delle donne? Non lo so nemmeno ora. In verità, contrariamente agli altri miei compagni, non ero un giovane uomo molto ardito. Anche se avevo l’aria di un ragazzo gentile e molto elegante. L’unica cosa che facevo – e che chiamavo “abbordare le belle” – era espormi allo sguardo delle ragazze come una merce che non trovava acquirente. Mi piazzavo al centro della strada e attendevo che una di loro mi cadesse addosso, mi cogliesse, per fare di me il Don Giovanni del secolo. Sfortunatamente la mia attesa, assai lunga, non dava alcun rsultato. Avevo l’impressione che tutte le ragazze della città, belle o brutte, si fossero alleate per non rispondere ai miei tentativi.

Pensavo continuamente alla ragazza dei miei sogni. Spesso, le ore di corso scivolavano via mentre ero perduto negli abissi profondi della mia immaginazione, partito alla ricerca della mia Dulcinea. Invano. A tavola era lo stesso. Immerso nei miei pensieri escogitavo ogni genere di tattica e strategia per conquistarla. A volte immaginavo il piano perfetto, la tattica ineccepibile che sarebbe bastato attuare la domenica successiva. Poi mi rivolgevo al cibo con appetito. Ma non trovavo più niente da mangiare. I miei compagni avevano divorato tutto, non senza prendermi in giro per la profondità delle mie riflessioni, affibbiandomi generosamente il titolo di filosofo. “La riflessione è ciò che nutre il filosofo” dicevano. Con la pancia vuota, sopportavo pazientemente in attesa del pasto seguente. Ma, nonstante i sacrifici dovuti alla causa, nessuno dei miei piandi andò a buon fine.

Una signorina, di nome Polonais, condivideva a volte la nostra vita di interni. Non era più giovane da tempo. E della sua freschezza passata restava solo un’ombra. Questa signorina faceva la portiera e suonava la campanella. Durante il tempo libero offriva diversi tipi di dolci a buon mercato e della cioccolata che esponeva sul davanzale della finestra che dava sulle aule.

Ci raccoglievamo intorno a lei per acquistare la sua merce, ascoltare i suoi consigli sull’arte del corteggiamento e su come intrattenerle a parole. La signorina Polonais era la più feroce nel criticare la mia timidezza e la mia mancanza di coraggio.  Spesso, per sfuggire alla sua lingua di vipera e alla sua ironia mordace, la adulavo o acquistavo per lei dei dolci che pagavo il doppio del loro prezzo.

Una volta stavo andando al cinema per distrarmi, non per cercare la ragazza dei miei sogni – me ne ricordo ancora. Ero completamente disperato: tutti i miei tentativi si erano risolti in spiacevoli fiaschi. Mi ero appena seduto quando vidi avanzare una ragazza magrolina. Si sedette sul sedile accanto al mio. Nella penombra della sala notai che era slanciata. Ma, nascosto dall’oscurità e dal cappello che portava, non potei distinguere i tratti del suo volto. L’immaginavo bella e affascinante. O piuttosto mi bastava immaginarlo. Non potevo certo fare il difficile e porre condizioni. Convinto che si trattasse della ragazza dei miei sogni, il mio cuore si mise a battere all’impazzata. Ma le mie speranze svanirono quando vidi che era sussiegosa. Poiché credevo fermamente che la ragazza che disdegnava il suo aspetto fosse inabbordabile e impermeabile a qualunque galanteria.

Lo schermo si animò. Era un film d’amore. La storia mi catturò al punto da farmi dimenticare la mia conquista. Dimenticai anche di fare il primo passo, cosa che si imponeva in una tale situazione, se volevo mettere in pratica le lezioni della signorina Polonais.

Aveva posato la mano sul bracciolo che condividevamo, e inconsciamente, feci scivolare la mia sulla sua. Non vi feci caso, fino al momento in cui sentii una leggera pressione. Ritirai il braccio farfugliando alcune parole di scusa. Ma la mia vicina mi prese la mano con energia e la rimise sul bracciolo prima di mettervi la sua sussurrandomi all’orecchio: “Non sia stupido, non c’è bisogno di scuse affettate. Il bracciolo è in comune, abbiamo entrambi il diritto di utilizzarlo”.

Non riuscii a spicciare parola. Mi misi a tremare, il mio cuore batteva così forte che mi sembrò che tutti gli spettatori nella sara lo sentissero. Ero molto turbato, ma felice di questa vittoria sul genere femminile. Su coloro che mi avevano reso talmente infelice. Colto da una sorta di vana sufficienza cominciai a escogitare un piano per torturare questa ragazza sfortunata che era pazzamente innamorata di me. La immaginavo ai miei piedi, mentre mi supplicava e implorava la mia pietà.

La ragazza interruppe di colpo il filo dei miei pensieri: nell’oscurità completa cominciò a parlarmi a voce bassa all’orecchio, informandosi sulla trama del film. Volevo parlare, ma mi era impossibile: ero ancora emozionato, timoroso. Cercavo invano di farmi coraggio, di raffrozare la mia determinazione, di convincermi della vittoria certa. Tremavo tutto, le forze mi avevano completamente abbandonato.

Al termine del film, le luci si accesero. Non mi decidevo ancora ad avvicinarla. Voltandomi, la vidi allontanarsi e sparire in mezzo alla folla di spettatori. La rincorsi, furioso con me stesso. Riconobbi a fatica il suo passo per strada. Non appena mi vide mi apostrofò da lontano: “Andiamo nella stessa direzione, aspettami un attimo, torno subito”. e scomparve.

In quel momento mi passò per la testa di fuggire. Ma questa volta resistetti e l’attesi. Alcuni minuti più tardi ritornò con un grosso pacco che reggeva a fatica e che me la nascondeva completamente.

Prima d’allora non avevo mai visto una ragazza così graziosa con un tale peso. Senza esitare, avanzai verso di lei per portarle il pacco. Non protestò ma, poiché mi precedeva sempre di qualche passo, non riuscii a vederle il volto.

“Vai all’università?” mi chiese all’improvviso.

“Sì devo rientrare”, risposi.

“Anch’io”.

Intesi che abitasse nel quartiere vicino all’università. Rischiai:

“Ti accompagno fino a casa”.

“Certamente, arriveremo insieme”.

Il momento non si fece attendere. Ero completamente sfinito. Facevo fatica a portare il pesante pacco. Cercai di trattenere il respiro, temendo a ogni istante che la mia conquista lo notasse e mi considerasse debole.

Mi aspettavo che girasse a destra o a sinistra per prendere la direzione di casa.

Quale non fu la mia sorpresa quando la vidi cominciare a salire la scala dell’università con estrema agilità! La raggiunsi. Ma lei aprì la porta dell’alloggio situato a sinistra dell’enorme portone in ferro, avanzò verso di me, prese il pacco per gettarlo all’interno prima di sparire dicendomi:

“Domani ti offrirò un pezzo di cioccolato per ringraziarti”.

Solo allora, svegliatomi dal torpore o meglio dalla mia stupidità, realizzai che la mia conquista o la mia Dulcinea di quella sera altri non era che  la signorina Polonais, la portiera.

A. R. Huhu, Al-a’màl al-kàmila, Manšuràt al-Ikhtilàf, al-Giazà’ir 2001, vol. 1, pp. 65-70.