La memoria del corpo

A. Mostaghanemi, La memoria del corpo, trad. di F. Leggio, Jouvence, Roma 1999

Il corpo ha una memoria. Nelle cartilagini, in quei piccoli segni o rughe che compaiono dopo un evento che non possiamo dimenticare, tracce di esperienze che sfumano nel ricordo  ma che portiamo sempre con noi.

Il corpo ha una memoria. Memoria di un arto amputato; memoria che si esprime nel nudo in pittura e nella memoria del corpo dell’amata che rimane con il suo profumo. Ma il corpo ha memoria anche dello spazio in cui è vissuto e questo spazio nel romanzo di Ahlam Mostaghanmi è quello della città di Costantina, dalla geografia tortuosa come tortuosi sono i ricordi del protagonista che vi ritorna dopo una lunga assenza.

Non c’è trama nel senso classico in La memoria del corpo; la scrittura di Mostaghanmi è una prosa che tende alla continua ricerca della poesia – e che troverà la sua massima espressione a mio parere in ‘Abir as-sarìr evocativo già nel titolo. Come afferma l’autrice: “Il romanzo è una poesia scritta in tutti i metri: il metro amoroso, quello sessuale, quello ideologico, quello della rivoluzione algerina, con i suoi combattenti e i suoi diavoli, i suoi profeti e i suoi ladri”.

Ma è una storia d’amore: per una donna, per una patria, e donna e patria spesso si sovrappongono, per una città e per una lingua, l’arabo, soprattutto:

“Avrei potuto scrivere in francese, ma l’arabo è la mia lingua del cuore, la sola in cui possa scrivere. Scriviamo nella lingua con cui sentiamo le cose.”
“E come mai parli solo in francese?”
“Per abitudine”, dicesti continuando a guardare i quadri, prima di aggiungere:
“Quel che importa è la lingua in cui si parla a se stessi, e non quella in cui si parla agli altri”. (p. 65)

Il romanzo ha vinto nel 1999 il premio Naguib Mahfuz ed è stato tradotto in lingua italiana prima che in qualsiasi altra lingua. Grazie a Francesco, che l’arabo conosce assai bene.