L’amour de la loi

M. Benkheira, L’amour de la Loi. Essai sur la normativité en Islam, PUF, Paris 1997.

Il libro di Benkheira analizza il rapporto del corpo con la norma nell’Islàm e fra gli esempi scelti per spiegare questo rapporto prende il velo per le donne.

In epoca moderna il corpo della donna si espone, viene usato come simbolo di identità. Quel corpo che in precedenza era stato negato, in un modo o nell’altro, acquisisce proprio da questa negazione la forza di scegliere, di essere visto.

Ciò non può tuttavia non cozzare contro un’idea di tradizione ancora fortemente presente nelle società arabo musulmane. Ecco allora che oggi, il discorso si sdoppia: da un lato, il corpo esposto, corpo politico, che segna le conquiste delle donne arabo musulmane nell società in ambito politico, economico e sociale. Corpo molto attento all’abbigliamento, che diventa segno distintivo e assume quasi un ruolo di discrimine; dall’altro il corpo coperto, un viaggio al contrario dall’essere scoperta al coprirsi che diventa un percorso spirituale, un tentativo forse di simulare la segregazione posto che ormai il corpo della donna è definitivamente presente nello spazio pubblico (un po’ come portare con sè, su di sé, la segregazione).

Oggi il velo è innanzitutto lo strumento – la marca strumentalizzata secondo Benkheira – di un’identità che si fabbrica contro un mondo, l’Occidente. Portare il velo è un comportamento, una tradizione, una pratica, che viene considerata come intangibile, necessaria, di distinzione. Ma soprattutto, e questo è un secondo registro di significato secondo l’autore, il velo è quello che si incolla al corpo e simboleggia l’agire della legge: la Legge viene in-corporata. Il corpo è la “dimora della Legge”. Infine, portare il velo, oggi, è sacralizzato e in questo senso è la fine di quest’incorporizzazione della legge sacra ma allo stesso tempo è l’indice di una crisi profonda del sistema normativo che è l’islàm, poiché è un atteggiamento d’ostentazione di un attore che ha perso la partita sul terreno della rappresentazione (di fronte all’attore occidentale).

La tradizione giuridica attribuisce al velo una funzione altamente distintiva: di separazione dei sessi, tra il puro e l’impuro. Il velo marca quindi la differenza fondamentale fra i sessi, ma è una differenza “in più”, come se la differenza fra i corpi non fosse sufficiente/evidente già di per sé. Il che implica che l’istituzione (la norma istituita) del velo esiste per inscrivere sul corpo della donna una “sessualizzazione” che le impedisca di scegliere un’identità altra (la donna fallica dev’essere castrata e ricondotta all’interno del suo sesso). L’obbligo del velo, dunque, ha la funzione di separare, di identificazione di sé nella separazione.

La pratica allora non è altro che la traduzione in pratica di una norma che vuole la donna confinata nel suo ruolo e che, impossibilitata ormai al controllo totale, cerca ancora disperatamente di confinarla in un ruolo sociale definito rigidamente attraverso la pratica del velo.