Khaled Khalifa alla Casa della Cultura di Milano

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L’ultima tappa del tour italiano di Khaled Khalifa, autore di Elogio dell’odio, è stata il 10 aprile 2016  alla casa della Cultura di Milano. Khalifa, oltre a essere uno scrittore interessante, si è rivelato anche un uomo molto piacevole. La sala era piena e c’erano anche molti arabi.

Ovviamente si è parlato di Siria, trattandolo però più come esperto di politica che scrittore. Peccato.

Khalifa ha esordito ringraziando Francesca Prevedello, traduttrice del romanzo, che era presente in sala e già solo per questo merita molta stima. E’ raro che ci si ricordi della traduttrice o del traduttore e abbastanza vergognoso che a farlo sia l’autore. Per tutta la serata, nessuno di coloro che erano seduti al tavolo ha citato per esteso gli estremi del volume e di riferimenti al testo ce n’è stato solo uno, vago. Tanto che personalmente ho pensato che di coloro che stavano seduti lì, nessuno avesse letto il romanzo. Ma è una mia supposizione, non lo posso sapere con certezza…

Eppure Khalifa ha iniziato dicendo che scrive sei ore ogni giorno e che senza scrivere non può stare, e ha anche detto che quando scrive la domanda che si pone è: come scrivo? e si interroga sulla lingua. Si sarebbe potuti partire da qui. Comunque, non è questo che voglio dire, l’occasione è stata interessante e meno male che è passato da Milano.

Però, alla Casa della Cultura qualcosa voglio dire. Già avevo commentato in occasione dell’incontro con Hoda Barakat qui. Al commento di allora aggiungo che è possibile vedere la serata in streaming dal sito della Casa della Cultura, così potete verificare personalmente qui.

Più o meno la stessa cosa si è verificata con Khalifa, che parlava in arabo.

Dunque, tre persone al tavolo per tradurre: un traduttore “ufficiale”, diciamo così dall’arabo all’italiano, una traduttrice dall’italiano all’arabo e una persona che fa le domande (abbastanza insulse a vero dire). La traduttrice italiano-arabo fa chouchotage, quindi non sentiamo cosa traduce. Il traduttore arabo-italiano parla al microfono, traduce, ma, dopo-come-sempre-tutti-aver-sottolineato-che-non-è-il-suo-mestiere (e allora perché lo fa? mistero) traduce molto parzialmente, un po’ perché non prende appunti (la consecutiva senza appunti!!!), un po’ perché si perde, un po’ perché boh, non è dato saperlo. Comunque, quando non riesce a star dietro all’arabo si rivolge alla persona che fa le domande, che dovrebbe essere un arabofono e che per tre volte dice di non aver seguito/capito. Si passa allora alla traduttrice italiano-arabo che incespica… tanto che a un certo punto, un madrelingua presente tra il pubblico si alza, si siede accanto alla persona che fa le domande e dice una cosa del tipo “aiuto io”. Bon. Ma nemmeno lui è un traduttore. Insomma quattro persone a tradurre e non si è riusciti ad avere una traduzione completa. Come al solito, potete verificare quello che dico dal video pubblicato sul sito della Casa della Cultura qui.

Allora vorrei dire alla Casa della Cultura: quando invitate autrici e autori arabi per favore affidate il lavoro a una/un professionista. Grazie. E non mi venite a dire che non la/lo potete pagare, queste sono fandonie.

Ai traduttori volontari vorrei dire: lasciate fare il lavoro alle/ai professionisti. Rifiutatevi, anche per amicizia o per amore della cultura araba. Rifiutatevi di fare un lavoro che non è il vostro. Se qualcuno provasse a fare il vostro senza essere professionista, vi seccherebbe, no?

Al pubblico, me compresa, vorrei dire: smettiamola di sopportare questa cosa con la scusa che l’arabo è difficile. L’arabo è una lingua come tutte le altre. Pretendiamo una traduzione professionale.

Una risposta a “Khaled Khalifa alla Casa della Cultura di Milano”

  1. ben detto Jolanda. E’ la solita storia, sia per quanto riguarda il fatto che ai letterati del mondo extra europeo si chiede sempre il commento politico trascurando il fatto che sono, innanzitutto, dei LETTERATI intervenuti a parlare della proprio opera (o, comunque, di letteratura), sia per quanto riguarda le traduzioni e il pressappochismo che le accompagna.

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