Il mare del silenzio

Y. Saleh, Bahr as-samt, Manšuràt al-ihtilàf, al-Giazà’ir 2001

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Alzo gli occhi su questa foto appesa a destra della parete e mi sento quasi stupefatto nello scoprire la mia capacità di leggere tra le linee del vuoto e dell’infinito… in un altro tempo sapevo tutto sulla mia immagine ma… è tutto cambiato, completamente cambiato…

Penso improvvisamente a mia figlia… ieri non ha detto nulla quando è venuta… l’ho guardata… i suoi occhi mi hanno detto molto… i suoi occhi erano uno spazio aperto al confronto, all’accusa e alla lotta, ciononostante ho provato una gioia meravigliosa vedendola vicino a me, come in sogno…

La mia unica figlia… quel che resta della mia vita… lil prolungamento della mia gioia… quanto ho desiderato la sua presenza e, quando è venuta, sono rimasto fermo al mio posto, incapace di aprire le braccia e il cuore… dopo tutti questi anni di separazione e attesa, avrei voluto essere capace di stendere la mano verso di lei, per insinuare le mie dita nella sua capigliatura morbida e flessuosa, stringerla contro di me come qualunque altro padre farebbe con la sua unica figlia… avrei voluto essere capace di chiederle come sta come un padre che chiede a sua figlia con la semplicità dell’amore “come va figliola?”, ma non l’ho fatto…

Improvvisamente, mia figlia è arrivata e improvvisamente ho perso la voce e le braccia, mi ha osservato con i suoi occhi nei quali si stemperava una tristezza accusatrice dal primo momento e mi ha gettato nel rimorso di una vita fatta di errori e follia, sono restato di sasso a distanza…

Cosa avrei potuto fare se non restare in silenzio e confrontarmi con questi occhi che accusavano la mia parentela e tutti gli altri miei diritti con un’insolenza insopportabile…

Mia figlia è questa verità priva di qualunque pretesa… è questo confronto che ho sempre temuto, che ho evitato a lungo… un confronto impietoso che mi accusa, che mi getta nella mia vecchiaia fredda e impotente… chi sono io dopo tutto questo tempo? chi sono io veramente?

Non sono nulla… non sono nessuno, null’altro che questa superficie di sentimenti di affetto dentro di me… avvolta nello sconforto e nel peccato…

Mia figlia è il più grande peccato che ho commesso contro il mio proprio diritto, e quello degli altri… questa piccola è venuta da me per mettermi a nudo davanti alla mia memoria, per mettermi faccia al muro e aprire il fuoco su di me e tutto quello che mi somiglia, come fanno i giovani rivoluzionari che combattono il mondo credendo nel loro unico diritto di vendetta per l’onore ferito… ero suo padre o un estraneo, un parassita che era tempo di sradicare? quest’idea mi sembra quasi ridicola e sorrido davvero non appena getta su di me il suo sguardo carico di collera, come per ricordarmi che ho già perso tutti i miei diritti civili nel momento in cui ella è entrata al mio cospetto come la meraviglia o la maledizione.

Sono stato subito preso dal panico, sono sfuggito alla sua collera verso la fotografia appesa a destra della parete e attraverso la quale incombe su di me la mia altra realtà… la fotografia mi accusa, come mi accusano i suoi occhi… fuggo verso la finestra che dà sulla notte e sulla città addormentata… fuggo verso la notte, mi inginocchio davanti a lei e urlo…

Notte… aggiungi sconfitta a un’altra sconfitta, non mi rinvii né la calma né il silenzio… non mi rinvii nulla, non credo nemmeno più al giorno là fuori che giudica e punisce!

Hai finito? mi dice mia figlia.

Nei suoi occhi ho letto la mia fine e l’inizio delle cose.

Come se la sentissi mentre ripete: “Sei finito Si Sa’ìd!”.

Sono sorpreso dalla paura… adesso è guerra aperta e io faccio fatica come una vecchia palma piegata dagli anni… i miei capeli bianchi non mi fanno onore e le rughe sul mio volto hanno la loro rivincita.

Che scherzo! Sono l’accusato che si sorprende di finire come finisce il tempo nella durata…

Sono solo e mia figlia è lì… è venuta per punirmi… ho diritto di sgridarla? La guardo di nuovo.

I suoi occhi aprono il fuoco sulla mia vecchiaia… il suo silenzio mi disprezza… sono dunque finito?

Quando è venuta da me, ho sognato che si gettasse fra le mie braccia come una onda di energia… ho sognato di sussurrare ai suoi occhi “ti amo piccola, scusami, perdona tutti i peccati che ho commesso nei tuoi confronti e nei confrotni del mondo”, ma… il perdono può cancellare una vita sbagliata?

Sono finito… non sono completamente morto… mio figlio Rašìd è morto, come sono morti ‘Umar e gli altri… perdonami, figlia mia, vieni verso di me, sono solo non fosse per la tua giovinezza rigogliosa.

Ho tanto desiderato intravedere nei tuoi occhi uno sguardo dolce che mi restituisca a te come un padre pentito, e ti riporti a me dopo questa vita sprecata… ma! la mia età non si lascia più sedurre da un simile capriccio… non ho dimenticato la ia posizione di uomo realista e responsabile, malgrado i tuoi occhi e la mia solitudine, mi ascolti? Sono un uomo responsabile…

Alcuni giorni fa ho ricevuto la visita inattesa di un membro del partito, un vecchio amico. Mi ha detto all’improvviso, come se condividesse i miei pensieri: “la tristezza è un parassita che bisogna combattere, cancellare dai nostri sentimenti, non c’è più tempo per il rimorso!” Come se avesse previsto questo incontro, ha aggiunto in tono serio “dobbiamo andare avanti qualunque siano le parti Si Sa’id, tu sei fra quelli che lo sanno meglio, non c’è tempo per il rimorso!”

Lo so. Radwàn, che non c’è tempo per il rimorso, so di essere quello che ha perso di più, da quando il tempo gioca contro di me… il tempo?! Avventuriero e livellatore come gli occhi di mia figlia … come la sua giovane età, come la sua colera che irrompe, come la sua determinazione per suo fratello e suo padre e i suoi sogni…

È esplosiva questa piccola… non sa che la rivoluzione che partorisce figli rosei e desideri sacri è la stessa che partorisce la guerra che lascia dietro di sé gli orfani, le vedove e le lacrime…

Mia figlia è folle, non è cosciente del fatto che questa guerra che vuole contro di me la brucerà a sua volta… il silenzio mi perseguita e io esito… lei grida in me “dì la verità Si Sa’id, togli la maschera… confessa!”

Mio dio,… confesso… figlia mia, puoi leggere tutta la storia tra le linee di questo volto, dall’inizio alla fine.