Homoeroticism in Classical Arabic Literature

J. W. Wright Jr. & E. K. Rowson, Homoeroticism in Classical Arabic Literature, Columbia University Press, New York-Chichester, West Sussex 1997

Nel 1964 Carolyn G. Heilbrun pubblicava un libro dal titolo Toward a Recognition of Androgyny, una ricerca nel mito e nella letteratura inglese per ‘tracciare’ le manifestazioni dell’androginia e valutarne le implicazioni nella società contemporanea giungendo alla conclusione che l’ideale dell’androgino è una forza civilizzatrice necessaria alla sopravvivenza di una società che si voglia ‘umana’.

Contrariamente al tema dell’androgino e della partecipazione della natura maschile nel corpo e nella mente di donne, il desiderio omosociale, l’omoerotismo e l’omosessualità fra uomini sono stati ampiamente studiati e nella cultura occidentale e in quella araba. Homoeroticism in Classical Arabic Literature si colloca a metà strada tra lo studio letterario, ben presente come recita il titolo, e le prospettive critiche più diverse, dalla psicanalisi alla filologia nel senso più classico del termine.

Ne emerge un quadro molto interessante, soprattutto poiché le fonti utilizzate non sono solamente quelle classiche ‘ufficiali’, nelle quali evidentemente gli autori sottostanno a un codice sociale e letterario, ma anche trattati sull’oniromanzia, letteratura aneddotica, canzoni in lingua parlata e teatro delle ombre. In tal modo se ne ricava un insieme costruito in modo gerarchico che declina genere, ideologia e potere come elementi che concorrono all’attribuzione all’uomo (inteso come maschio) di privilegi sessuali a spese della donna in tal modo permettendo una comprensione migliore della questione di genere nella società arabo musulmana.

Attenzione particolare viene anche posta al linguaggio e alla lingua utilizzate per trattare l’argomento: a discapito della tendenza generale degli autori a trattare tutti gli aspetti della sessualità, si è sovente dibattuto, all’interno della cultura araba medievale, sull’opportunità di utilizzare un linguaggio esplicito, tanto da dar vita a un genere specifico, il mugiùn, volto a divertire senza mai scadere nel volgare.

A difesa della liceità o meno di una terminologia esplicita interverrà al-Giahiz e, dopo di lui Ibn Qutayba, che affermeranno che le parole considerate da alcuni illecite non sarebbero entrate nel linguaggio se non dovessero essere usate.