Grammatica teorico pratica della lingua araba

L. Veccia Vaglieri, Grammatica teorico pratica della lingua araba, Istituto per l’Oriente, Roma 1936

Nous aspirons non pas à l’égalité, mais à la domination. Le pays de race étragère devra redevenir un pays de serfs, de journaliers agricoles ou de travilleurs industriels. Il ne s’agit pas de supprimer les inégalités parmi les hommes, mais de les amplifier et d’en faire une loi (Ernest Renan).

Ci ho pensato a lungo, ma alla fine ho deciso di aprire questa rubrica. La apro proprio oggi per un motivo personale particolare, che qualcuno forse coglierà. E con questo libro perché ho sentito e letto una volta di troppo lodare questo testo.

In un saggio intitolato “Gli studi di lingua e grammatica araba” (in Gli studi sul Vicino Oriente in Italia dal 1921 al 1970, Roma 1971, pp. 109-129) Veccia Vaglieri sottolinea a più riprese come lo studio della lingua araba sia riservato a un’élite e presenta la figura dell'”arabista” come quella di un essere superiore votato allo studio della sola lingua classica e dove l’atto comunicativo non ha alcuna importanza.

Nell’Introduzione al volume di grammatica afferma che il testo aveva dimensioni tali che la stampa sarebbe stata impossibile (cito a memoria) “se l’istituto per l’Oriente, cosciente della necessità di promuovere lo studio di questa lingua, non si fosse fatto carico delle spese di pubblicazione e se il Ministero delle Colonie e l’Accademia Reale d’Italia non avessero entrambi e con grande generosità offerto il loro contributo impegnato”.

Così l’arabo insegnato da questo momento (dopo la prima guerra mondiale) sarà esclusivamente l’arabo classico. Nel suo libro Veccia Vaglieri presenta le regole di grammatica e sintassi (peraltro chi è avvezzo ad alcuni testi in arabo ormai considerati classici ritroverà gli esempi citati dall’autrice) recuperando il metodo di insegnamento derivato dal sistema di studio della lingua latina. Il volume è rimasto inalterato fino a oggi. A partire da questa grammatica si formeranno tutte le generazioni di futuri arabisti. Questo manuale viene utilizzato ancora oggi nelle università italiane (secondo uno studio di una collega, Barbara Airò, l’80% dei corsi di arabo utilizza “la Veccia”) costituendo un legame fra specialisti che concepiscono lo studio della lingua a partire dalla loro concezione intellettuale borghese e difensori dell’istruzione per le masse, legati all’idea di stato nazione, i quali fino a un certo punto hanno sostenuto l’impresa coloniale italiana.

Ora, questa grammatica è del 1936 e cioè di 74 anni fa. Pare che l’insegnamento dell’arabo in Italia non abbia fatto progressi… Noto inoltre negli ultimi tempi una sua maggior diffusione. Qualcosa vorrà pur dire. A me è venuta in mente la frase di Renan.

I nostri studenti, come noi del resto che lo abbiamo fatto a suo tempo, traducono dall’italiano in arabo le frasi del primo volume, come questa, a esempio: “Tacete, schiavi, davanti al vostro maestro” (p. 296).

20 Risposte a “Grammatica teorico pratica della lingua araba”

  1. so che da un paio d’anni l’IPO sta lavorando a una edizione rinnovata (soprattutto negli esempi e negli esercizi) del Veccia-Vaglieri. Doveva uscire l’anno scorso, ma è stata rimandata. Forse per il prossimo anno…
    D

    1. anche “svecchiandola” e cambiando gli esercizi non cambierà molto dal punto di vista del mio post. la mia domanda è: possibile che in 70 anni in italia non si sia stati capaci di produrre un testo per l’insegnamento dell’arabo senza lingua veicolare come quelli di inglese o spagnolo?

  2. Assolutamente concorde. Quando ero una studentessa di arabo (bei tempi) spesso ci ironizzavamo con le compagne, sugli esempi grammaticali a dir poco raccapriccianti della Veccia.
    Ridevamo prima, poi con il tempo siamo diventate più consapevoli. Avremmo potuto fare di più, comunque, anche “unendo le forze”: peccato che anche noi non siamo riuscite a liberarci del luogo comune che guarda all’arabo come “lingua d’élite”, e che, proprio come ai tempi della Veccia, continua – per certi versi – a sopravvivere.

  3. Sono curioso sul proseguire di questa rubrica e chissà oltre alla Veccia quali altri nomi incontrerò… Comunque devo ritenermi fortunato per essere scampato al flagello di questa grammatica, io studentello di arabo ho passato questi primi due anni sul Deheuvels (Manuel d’arabe moderne, Inalco) e devo dire non mi sono trovato male, né i miei compagni. Siamo stati i primi a Venezia a usare un nuovo metodo, nel 2008, con grande invidia della generazione precedente a utenza-Veccia (forse nel passato qualche utenza della Manca, sporadica).
    Gli ammodernamenti sono sempre benvenuti, tuttavia non è un cambio di metodo che salva un settore di studi gestito con fare retrogrado. Se penso alla mancanza di un corso di letteratura che sfori dal XVIII secolo (!) per l’altra lingua che studio, il persiano, libro di testo: Bausani, ultimo aggiornamento anni sessanta… e così via per molte altre discipline i limiti cronologici sono ben marcati.
    Non sono immoderato se dico che molti di noi hanno avuto l’impressione di frequentare un dipartimento di Scienze dell’antichità, piuttosto che di Lingue e letterature. Del resto Scienze dell’antichità e del Vicino Oriente mi sembra fosse un vecchio antenato del corso che attualmente frequento.

  4. io a dire la verità l’arabo l’ho tudiato solo per le vie di damasco e del cairo. ne ho avuto bisogno non perchè fossi un linguista, ma per la mia necessità di dialogare con la gente in questi posti che ho citato. ed ammetto ora, alla luce dei commenti letti, che mi è capitato di dover fare da interprete a gente che si ammazzava da anni su questo testo…. grazie per aver postato tutto ciò, dà molto da riflettere.

  5. Come non essere d’accordo con la tua tesi, cara Jolanda? E’ la pura e semplice verità. Certo dare in uso agli studenti la Veccia è molto comodo, non costa nulla. Scrivere un manuale basato sulla moderna glottodidattica invece è decisamente più impegnativo e richiederebbe tanto impegno… Lasciamo che chi è deputato all’insegnamento della lingua (intendo nelle università) si preoccupi della propria carriera, e di curare il proprio orto, tanto gli studenti si arrangiano…

  6. sì ho letto il post precedente, non prendetela sul personale, il riferimento è a un sistema e a un modo di insegnare la lingua araba, una lingua viva, non morta.

  7. Scusami, volevo più che altro dire che certo il sistema mi sembra arrugginito però forse almeno sull’insegnamento dell’arabo qualcosa mi sembra muoversi… anche se ora rifletto può essere solo un’impressione dovuta all’esperienza personale, perché se penso (ad esempio) che nonostante vent’anni e passa di traduzioni di letteratura contemporanea le attenzioni ottenute sono esigue rispetto al lavoro svolto, allora capisco che certo alcuni e sporadici restauri sono stati fatti e si continuano a fare, mentre urge sempre più una messa a nuovo totale, un bel miraggio.
    Non so se la mia percezione sia corretta, l’esperienza che ho è ancora poca, anche se la questione dell’ammodernamento degli studi è un problema che si è manifestato quasi subito quando ho iniziato con l’arabo.

  8. Concordo pienamente con il tuo post, direi che all’università di Roma, dove si usa ancora “la Veccia”, vige ancora la concezione che l’arabo serve solo ad essere letto e tradotto, ma non si presta a fungere da strumento comunicativo. Si impara a dire “io voglio o “io amo” solo durante il secondo anno inoltrato. Ricordo bene la meraviglia quando sfogliai la prima volta “al-kitaab” il libro americano di arabo, con dialoghi, unità, esercizi divertenti, dvd, insomma un vero manuale di lingua come quelli di inglese o spagnolo che si usavano a scuola.
    Comunque è uscito da poco un nuovo libro italiano per “l’arabo standard” scritto dal prof Durand. Da una veloce sfogliata mi è smebrato molkto completo sia sulla grammatica che sulla comunicazione. Speriamo bene…

  9. A me il libro del prof. Durand sembra bello: abitua da subito ai testi non vocalizzati, usa il testo “vivo” (non letterario) come nucleo centrale e primario dell’unità didattica (secondo i parametri del Common Framework), introduce elementi di cultura araba e di uso della lingua, è funzionale, comunicativo.
    La cosa che mi lascia assai perplessa è che a Studi Orientali a Roma (dove studio), questo libro, pur essendo stato scritto da un docente interno alla facoltà, non è segnalato da nessun programma d’esame. Il programma di arabo continua a fondarsi sul dogma usurato della Veccia Vaglieri, senza neanche una postilla che segnali allo studente che, a guardar bene, c’è un miliardo di altri testi (anche e soprattutto stranieri) da consultare e studiare. Mi indigna il fatto che tutti questi testi siano assurdamente snobbati: perché? Lo trovo davvero molto disonesto.

    1. l’ho ricevuto proprio l’altro giorno. sì bello, anche se non condivido il fatto di scrivere che si arriva a B2 con quel libro perché, a mio modo di vedere, non è vero.
      sul non adottare il testo dipende; da noi per esempio le adozioni si fanno a luglio e il libro è uscito a ottobre, un po’ tardi, vedremo il prossimo anno; comunque saranno costretti ad adottarlo visto che è molto meglio di tutto il resto. e poi scusa, ma che anche gli studenti si facciano sentire! finché subiscono stando zitti, non si possono lamentare…

  10. Anche io ho studiato alla Sapienza sulla Veccia Vaglieri e non è che le lezioni di dialettologia di Durand fossero molto diverse..l’arabo era una lingua morta. Ora che ho studiato glottodidattica, che so tutto sul metodo di apprendimento di una seconda lingua, sul funzionamento del cervello, sugli stimoli, le motivazioni e gli esercizi più appropriati da usare in classe…mi chiedo: con degli studi così avanzati (in Italia!)perché i professori di lingua araba ma anche inglese, francese ecc.si ostinano ad usare il metdo grammaticale-traduttivo?

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