Gli uccelli del Nilo

I. Aslan, Gli uccelli del Nilo, trad. di B. Longhi con la collaborazione di P. Zanelli, Jouvence, Roma 2004

Ibrahìm Aslan, scrittore, giornalista, editore, è noto per un caso letterario legato alla censura in Egitto che lo ha coinvolto alla fine degli anni Novanta. In qualità di editore, infatti, egli pubblicò un romanzo dello scrittore siriano Haydar Haydar, Walìma li-ašàb al-bahr, sottoposto a denunica per alcuni passaggi ritenuti offensivi nei confronti della religione, della morale e dei governanti arabi in genere, accusati in sostanza di condurre le questioni di Stato nel XX secolo ancora secondo i principi legati alla tradizione beduina.

Il caso ebbe una vasta eco sulla scena letteraria egiziana, soprattutto perché marcava una novità. La denuncia, infatti, coinvolgeva anche in prima persona un editore e, per solidarietà, 350 intellettuali si autoaccusarono di quanto imputato ad Aslan: il governo egiziano costituì ben due commissioni d’inchiesta e il romanzo venne ritirato dal mercato.

Gli uccelli del Nilo è un’opera della  maturità nella quale Aslan propone, in forma romanzesca, la sua concezione della vita e le sue considerazioni sulla generazione di scrittori che, come lui, ha gravitato intorno alla rivista Galerie 68. Il pretesto narrativo è la scomparsa della nonna dalla casa famigliare e il viaggio che uno dei nipoti, ‘Abd Allah, dovrebbe intraprendere per recarsi al villaggio natale nella speranza di ritrovarla.

Da questo spunto l’autore parte per proporre una società egiziana debole e incapace di capire il mondo che la circonda, poiché priva di una “coscienza” e per esprimere la propria disillusione come intellettuale – nel romanzo rappresentato da ‘abd Allah, il “professore” – prigioniero di una quotidianità apatica e monotona che lo annienta silenziosamente. Come ha avuto occasione di affermare l’autore:

“Non eravamo portatori di un messaggio, ma eravamo alla ricerca di un messaggio attraverso la letteratura e la nostra creatività”.

Tutto questo attraverso il ricordo delle vicende familiari del protagonista nell’arco di tre generazioni, che Aslan descrive magistralmente nei piccoli dettagli apparentemente insignificanti propri della mediocrità della vita, utilizzati per porre in risalto la loro “solidità rispetto alla debolezza del carattere umano”. Hanèm, la nonna, rifiutando la morte dei figli e dei cari che la circondano, parte per tornare al villaggio natale e far riferimento a quell’universo di valori e tradizioni che si sono ormai sbriciolati nella società egizia a causa anche del contatto con l’occidente, che Aslan considera deludente.
Tutto questo con un linguaggio spesso vicino alla lingua popolare ed estremamente concreto che lo ha fatto accostare a Hemingway (Sabry Hafez), senza dimenticare il lato tragicomico della vita.