Dunyazad

M. Telmissany, Dunyazad, ev, Macerata 2010.

Nella vita di ciascuno c’è un prima e un dopo scandito da un evento che ha segnato la nostra vita. Per la protagonista di Dunyazad questo prima e questo dopo trovano il momento di cesura nella morte di una figlia, Dunyazad, appunto.

“Con il passare dei mesi, sono alle prese con un nuovo libro, ho dato le dimissioni dal mio impiego statale, ho rotto con molte delle mie amiche, ho fumato le prime sei sigarette della mia vita, ho deciso di fare il terzo figlio che adesso si muove dentro di me. Analogamente, ho litigato per futili motivi, ho quasi investito un uomo per strada, ho comprato molte cose, ho assunto una nuova domestica, ho organizzato un paio di cene per i miei amici, ho ripiantato i fiori nella fioriera del balcone” (p. 81)

Una sorta di percorso di guarigione nel quale la perdita della figlia in grembo diventa il simbolo di una qualunque perdita possiamo subire, fino ad arrivare a un “Punto di svolta”, questo il titolo del capitolo da cui è tratto il brano citato. Ma se, giunti al punto di svolta, riprendiamo a compiere azioni abituali o assumiamo comportamenti mai adottati prima, se in un certo qual modo decidiamo di fare “pulizia”, eliminando qualcosa o sostituendo qualcos’altro, tutti questi comportamenti non sono altro che palliativi.

Perché quand’anche ci pare di aver dimenticato, ci sarà sempre un momento, un gesto, una parola, che ci farà tornare alla mente quanto accaduto e ogni volta, pur se in modo meno traumatico, sarà necessario ricomporre i pezzi del nostro cuore straziato.

La scrittura allora, come ci racconta Telmissany stessa, si riconferma terapia efficace e il rapporto col lettore, il cordone ombelicale dal quale passa il nutrimento, per rimanere vivi, o parvenza di vivi:

“Il cordone che mi unisce al mondo è tenuto dai lettori”.

Ognuno sostituisca a “lettori” quel che crede.